Curiosità

L’esplorazione oggi non si ferma

Il loro motto recita “C’è ancora molto da scoprire nelle regioni più remote della superficie terrestre, e moltissimo al di sotto di essa, dove si stendono ancora quasi inesplorate le Terre della Notte”. Compie 30 anni il gruppo La Venta, gli investigatori di Naica, dei Tepui venezuelani, delle grotte di ghiaccio sui fragili ghiacciai del mondo. In 30 anni si sono spinti ovunque, hanno condotto esplorazioni e ricerche scientifiche capaci di farci tornare all’epoca pionieristica, quando sulle carte geografiche comparivano intere aree bianche, inesplorate. Ci hanno insegnato come la Terra sia ancora scrigno di segreti e ambienti unici, come sappia meravigliare. Ma anche come sia necessario porre paletti, tutelare, conservare. “Tante tragiche esperienze di secoli di ricerca geografica ci hanno insegnato che esplorare non basta, se non si cerca di capire che cosa si è esplorato e il modo per conservarlo”. Le loro ricerche hanno prodotto innumerevoli pubblicazioni e hanno permesso al gruppo di ricevere premi e onorificenze. Ma cosa significa esplorazione nel terzo millennio? Ne abbiamo parlato con il presidente Francesco Lo Mastro.

Francesco, cosa significa esplorare in un’epoca di satelliti, droni e gps?

“Sembra tutto più facile e svelato avendo a disposizione queste tecnologie. Quando abbiamo iniziato, trenta anni fa, molte di queste nuove tecnologie ancora non c’erano. Oggi è tutto molto diverso, praticamente possiamo viaggiare dal salotto di casa. Ovviamente anche noi ci avvaliamo di questi nuovi strumenti, sono oro. La tecnologia in spedizione ti fa risparmiare tempo, permettono una comunicazione immediata. Così su due piedi mi vengono in mente le nuove tecnologie laser per effettuare i rilievi in grotta e la possibilità, grazie alle connessioni satellitari, di poter inviare direttamente le informazioni dal campo base.”

Dopo 30 anni si è fermata la vostra voglia di esplorare?

“La voglia di esplorare non finisce mai, anche in questo periodo di blocco forzato tutti abbiamo continuato a progettare e sognare. In questi 30 anni sono successe molte cose, anche inaspettate. I risultati ottenuti vanno al di là di ogni aspettativa.

Nel corso degli anni il nostro concetto di esplorazione si è andato evolvendo. All’inizio siamo nati come gruppo di amici appassionati, poi questo non bastava più. Abbiamo iniziato a raccogliere dati, a fare rilievi. In breve siamo diventati multidisciplinari, per il semplice motivo che le nostre spedizioni si svolgono in contesti naturalistici, geografici, antropologici, ma anche grazie all’ingresso di nuovi soci e studiosi capaci di coprire un campo della ricerca sempre più ampio”.

Una delle vostre esplorazioni più suggestive è quella che vi ha portati alla scoperta della grotta di Naica, con i suoi giganteschi cristalli…

“Per me e per La Venta si è trattato del progetto più impegnativo in assoluto, ma anche quello più avvincente. Questa grotta, che si trova nello stato del Chihuahua in Messico, è stata scoperta nel 2000 durante le operazioni di scavo in una miniera di argento. Noi, grazie a un contatto locale, siamo riusciti a stipulare un accordo di esplorazione e ricerca all’interno di questo geode gigante al cui interno sono presenti innumerevoli ed enormi cristalli di selenite (gesso, nda). Alcuni di questi sono lunghi oltre più di dieci metri.”

Esplorarla è sicuramente stato incredibile, ma è anche stato facile?

“Assolutamente no. È stato molto complesso a causa delle condizioni climatiche estreme che si trovano all’interno: la temperatura tocca i 50 gradi e l’umidità è prossima al 100%. Condizioni che non permettono l’evaporazione del sudore, in pratica il nostro corpo non può raffreddarsi, così nel giro di poco la temperatura inizia a salire e si stabilizza con quella della grotta. Una condizione che avrebbe impedito ogni tipo di esplorazione, se non a rischio della vita. Per poter ‘visitare’ il geode abbiamo dovuto inventarci apposite tute e respiratori refrigeranti. Solo grazie a questi siamo riusciti a condurre le ricerche e a effettuare rilevamenti.”

Tra gli altri progetti portati avanti uno dei più suggestivi, che riporta all’epoca pionieristica dell’esplorazione, è quello dei Tepui venezuelani. Mai nessuno prima di voi ha calpestato quelle terre, giusto?

“I Tepui sono antichi affioramenti di roccia quarzitica. Rilievi che emergono dalla pianura della Gran Sabena anche per mille metri con pareti verticali e strapiombanti. Sulla sommità si sviluppano invece ecosistemi unici e incontaminati. La maggior parte di queste piattaforme non hanno mai ricevuto visita umana. Noi stiamo lavorando a un progetto che mira allo studio del territorio e del loro delicato ecosistema.”

Quanto è importante lavorare senza lasciare traccia del proprio passaggio?

“Direi fondamentale. Per questo abbiamo messo a punto un rigoroso protocollo utile a evitare contaminazioni. Cerchiamo di avere il minor impatto possibile sul territorio creando itinerari da seguire in modo rigoroso, anche stoccando e riportando indietro ogni tipo di rifiuto prodotto, anche quelli organici.”

Ci pare di capire che l’esplorazione non si fermi mai, a cosa state lavorando in questo periodo?

“Anche noi siamo stati costretti a fermarci per colpa della pandemia da Coronavirus, ma i sogni e i progetti hanno continuato a maturare nella nostra mente. Speriamo di poter riprendere l’attività in autunno con una spedizione in Colombia, mentre per il periodo natalizio abbiamo in programma un progetto in Iran. L’anno scorso, proprio nei giorni in cui il mondo è stato chiuso, saremmo dovuti partire alla volta del Messico. E poi ancora tante altre spedizioni che sicuramente ci daranno molte soddisfazioni.”  

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