AlpinismoStoria dell'alpinismo

Una settimana sull’Eiger. La prima invernale, sessant’anni fa

Una notte di sessant’anni fa, ai piedi di una delle pareti più famose delle Alpi, quattro alpinisti compiono un’infrazione che li potrebbe portare in galera. Tre bavaresi, Toni Hiebeler, Toni Kinshofer e Anderl Mannhardt, con l’austriaco Walter Almberger, entrano a piedi nel tunnel percorso dal treno a cremagliera che sale verso lo Jungfraujöch. Il pericolo, più dell’incontro con un sorvegliante della linea o con poliziotto svizzero, sta nelle dimensioni del tunnel, che consente appena il passaggio dei vagoni. Ma sono le tre del mattino, e il primo treno passerà verso le sette. Al primo passaggio, i quattro non si accorgono dello Stollenloch, il buco utilizzato durante lo scavo del tunnel per gettare all’esterno i detriti. Quando lo trovano, scoprono che è intasato da due metri di neve, che viene tolta a colpi di piccozza. 

Alla fine, nella luce dell’alba, Hiebeler, Kinshofer, Mannhardt e Walter Almberger sbucano nel cuore dell’Eigerwand, una delle pareti più severe delle Alpi. Una traversata di ottanta metri, sopra a un vuoto impressionante, li porta alla grotta che hanno raggiunto dal basso qualche giorno prima, dove hanno bivaccato e dove hanno lasciato parte del materiale. L’ascensione riprende da lì. “Da alpinisti, pensiamo che questo modo di procedere sia giustificato dal pericolo di valanghe della parte bassa della parete” scriverà Hiebeler nel suo libro dedicato alla Nord. “E comunque, nella storia dell’alpinismo, dalle Tre Cime al Dru, non mancano gli esempi di vie aperte in più riprese”.  

La corsa alle invernali delle Alpi

La corsa alle prime invernali delle grandi pareti delle Alpi inizia nel 1953, quando Walter Bonatti e Carlo Mauri salgono la via Cassin alla Cima Ovest di Lavaredo. Nel febbraio 1960, il primo tentativo invernale sull’Eiger viene compiuto dalla forte cordata tedesca di Lothar Brandler, Jörg Lehne e Siegfried Löw. Qualche giorno dopo tentano gli austriaci Sepp Larch, primo salitore del Gasherbrum II, e Karl Winter. La vittoria di Toni Hiebeler e compagni arriva tra il 6 e il 12 marzo 1961. Un anno dopo due svizzeri, Hilti von Allmen e Paul Etter, salgono la parete Nord del Cervino, che era stata tentata poco prima da Hiebeler e Kinshofer, con il francese Pierre Mazeaud e l’austriaco Erich Krempke. Nel gennaio 1963, per l’invernale dello Sperone Walker delle Grandes Jorasses si scatena una competizione tra gli italiani Walter Bonatti e Cosimo Zappelli, e i francesi René Desmaison e Jacques Batkin. Vincono i primi due, gli altri ripetono la salita una settimana più tardi.

I protagonisti

Toni Hiebeler, nato nel Vorarlberg, in Austria, ma vissuto a Monaco di Baviera, è uno dei personaggi più interessanti dell’alpinismo del dopoguerra. Per vivere di montagna fonda il mensile Alpinismus, scrive libri, collabora a giornali di grande tiratura. Con amici austriaci, tedeschi e bellunesi individua l’Alta Via numero Uno delle Dolomiti, che viene inaugurata nel 1966. Alle sue grandi salite invernali, invita un capocordata più forte di lui, di cui poi celebra il ruolo nei racconti. Sull’Eiger, nel 1961, il capocordata è Toni Kinshofer, alpinista e falegname bavarese. “Arrampica come un dio. Buono, grande meraviglioso Toni!” scrive Hiebeler. Due anni dopo, nell’altrettanto eroica (otto giorni!) invernale della via Solleder della Civetta, lo stesso ruolo tocca al friulano Ignazio Piussi. Con lui e Hiebeler arrampica il lombardo Giorgio Redaelli. Roberto Sorgato, bellunese, partecipa a un primo tentativo, poi viene bloccato da un problema di salute.

La salita

Ma torniamo all’invernale dell’Eigerwand. Nella parte bassa della parete, che i quattro attaccano il 27 febbraio, il vero problema è la neve instabile e pericolosa. Il 6 marzo, quando tornano traversando lo Stollenloch, trovano una parete incrostata di neve e di ghiaccio. Se la Fessura Difficile è intasata di neve, la Traversata Hinterstoisser è una lastra di ghiaccio, dove Kinshofer intaglia delle minuscole tacche. All’invenzione della piolet-traction mancano ancora degli anni, e le piccozze, è bene ricordarlo, hanno ancora la becca dritta. 

Il Primo Nevaio è ghiacciato, il Secondo è di neve compressa dal vento, e consente di salire rapidamente. Il terzo bivacco, a destra del Ferro da Stiro, è più scomodo degli altri. Seguono il Terzo Nevaio, che è un’altra lastra di ghiaccio, e la Rampa, dove a tratti la roccia è pulita. Nel racconto di Hiebeler si susseguono “condizioni proibitive”, “passaggi spaventosi”, “pochissime possibilità di assicurazione”. Il bavarese è uno storico dell’alpinismo, e alla fine del Ferro da Stiro sa di passare a pochi metri dal Bivacco della Morte, dove i tedeschi Karl Mehringer e Max Seldmayer si sono spenti nel 1935.  

La sera del quarto giorno, Hiebeler nasconde ai compagni che il barometro sta precipitando. “Devo suggerire l’idea di ritirarci? Abbiamo duecentottanta metri di corda e trenta chiodi per attrezzare delle doppie, ma non dico una parola. Sono tranquillo. E’ un presagio”. 

Nel penultimo bivacco, sulla Traversata degli Dei, la neve scende copiosa. All’alba il tempo ridiventa discreto, e si continua. Kinshofer supera un passaggio difficile dopo l’altro, dopo la Fessura di Quarzo si passa accanto al terrazzino da cui è stato recuperato nel 1957 Claudio Corti. Alla fine delle difficoltà, una pietra colpisce Toni Hiebeler, che riesce a proseguire nonostante il dolore. L’ultimo bivacco è su una crestina di neve scomoda, il nevaio terminale è facile, in vetta i quattro incontrano finalmente il sole. 

Seduti sulla cima, ci godiamo la vita che abbiamo messo in gioco per un obiettivo apparentemente inutile, arricchiti dalla straordinaria avventura che ci accompagnerà per tutte le nostre vite” scrive Toni. 

Dopo l’impresa

Un anno dopo, Kinshofer, Mannhardt e il loro amico Siegfred Löw salgono il Nanga Parbat dal versante di Diamir, aprendo quella che oggi è la via normale della montagna. Non è una vittoria indolore, perché Löw precipita in discesa, e Mannhardt e Kinshofer subiscono dei congelamenti che costano loro tutte le dita dei piedi. Il “meraviglioso Toni” riprende a scalare, ma muore nel 1964 cadendo sulla falesia di Battert, presso Baden Baden. Anche Toni Hiebeler, il creativo dell’alpinismo bavarese, perde la vita in montagna, nel 1984, cadendo con un elicottero sul versante sloveno delle Alpi Giulie.  

Nell’inverno del 1966, cinque anni dopo la prima, l’Eiger torna sotto ai riflettori. Due team, uno tedesco e l’altro anglo-americano, tentano di aprire una diretta. La competizione è intensa, “le redazioni di Quick, Stern, Epoca e Paris Match sono colpite dalla eigerite” commenta Toni Hiebeler. Dopo un mese, la rottura di una corda fissa costa la vita a John Harlin, e impone agli altri di collaborare. Dougal Haston si lega in cordata con Jörg Lehne, Gunther Strobel, Sigi Hupfauer e Roland Vötteler. Il 24 marzo i cinque uomini sono in cima. E’ un’altra impresa straordinaria ed eroica, compiuta con materiali tradizionali. Ai record di velocità di Ueli Steck, che nel nuovo millennio salirà d’inverno l’Eigerwand in 3 ore e 54 minuti, e poi in 2 ore e 47 minuti, manca qualche era geologica.  

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Un commento

  1. Il grande “invernalismo” era un po’ scomparso nelle Alpi, tranne che su salite prettamente di ghiaccio.
    Ora è riapparso un po’ dovunque…… tenendo sopito quel terribile, ma molto stimolante, spirito competitivo degli anni del secolo scorso.
    Chissà che non si diffonda anche il piacere dello stare in parete d’inverno, immerso nel silenzio.

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