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“Basta impianti”. Protesta in Dolomiti sulla Cima Settsass

Riprendono le proteste contro la realizzazione di nuovi impianti in Dolomiti. Dopo i flash mob dello scorso autunno che hanno visto salire in quota, prima sulle 5 Torri poi in Marmolada imprenditori, professionisti e semplici appassionati di montagna, uniti dal grido “Basta impianti”, il 18 febbraio scorso una protesta sullo stesso stile delle precedenti, con esposizione di striscioni in vetta, si è ripetuta sulla Cima Settsass, tra Arabba e la Val Badia. Un gruppo di imprenditori e professionisti del territorio è salito fino ai 2571 metri della vetta con gli sci ai piedi.

Ha senso protestare contro gli impianti in una stagione che di fatto ne vede la chiusura protratta? A spiegare le motivazioni della iniziativa, che riportiamo di seguito, è la pagina Facebook “Basta Impianti”, nata a seguito del Flash Mob dell’estate 2020 alle Cinque Torri.

Le motivazioni del movimento “Basta Impianti”

“La situazione che stiamo vivendo in Dolomiti, in questo inverno pandemico, è particolarmente preoccupante e stiamo assistendo a un’accelerazione rapidissima di fenomeni purtroppo ben noti.

Eccone una rapidissima istantanea:

  1. Il Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute, a poche ore dalla presunta riapertura degli impianti sciistici, li dichiara non sufficientemente sicuri nel contrastare la diffusione del Covid 19, mettendo di fatto il suo veto su di una possibile riapertura invernale ed assestando un colpo durissimo ad una economia stagionale già seriamente compromessa.
  2. Contestualmente alla totale chiusura dello sci amatoriale e alle attività economiche ad esso correlato si svolgono i Mondiali di Sci in una Cortina blindata dalle forze dell’ordine in totale assenza di spettatori ma con notevoli disagi per la popolazione locale.
  3. Nonostante la chiusura degli impianti sciistici non appena gli spostamenti tra Comuni e il raggiungimento delle seconde case sono autorizzati dal Governo, un numero importante di visitatori si precipita nelle località turistiche di montagna trovandovi un’offerta limitatissima e non idonea alle loro richieste.

Questi tre aspetti, apparentemente sconnessi tra loro, in realtà non lo sono:

  • Da un lato abbiamo la difficoltà di gestire un’emergenza sanitaria stagionale con attività che oramai da decenni si sono specializzate nell’ottimizzare il massimo profitto nel più breve periodo. Attività economiche che cercano il turismo di massa il più possibile circoscritto nei tempi e nei luoghi. Difficile non pensare che attività diversificate e maggiormente diffuse avrebbero potuto alleggerire il flusso sulle piste da sci permettendone l’apertura.
  • Dall’altro abbiamo la predazione perpetrata ai danni delle collettività e dell’ambiente. Nelle Dolomiti come altrove la montagna diventa terra di conquista dove è possibile realizzare opere faraoniche a costi elevatissimi con altrettanto dispendio di risorse in termini economici e ambientali. Ciò è possibile grazie all’assenza di un substrato sociale forte e coeso che sia capace di opporsi. La popolazione è anziana e di fronte al miraggio di presunte ricadute economiche, che eviterebbe lo spopolamento, è disposta ad accettare qualsiasi compromesso.
  • Infine abbiamo l’esigenza, sempre più sentita da parte di una grande fetta della popolazione, di vivere la montagna in modo più lento, più attento al territorio, più personalizzato e forse più rispettoso. Non riuscire a rispondere a questa richiesta porta ad una fruizione incontrollata da parte di visitatori spesso impreparati con il risultato di ottenendo l’effetto opposto: danni per l’ambiente e frustrazione per i frequentatori.

Noi non siamo contro lo sci e non siamo ambientalisti. Siamo persone che vivono e lavorano in montagna e che la amano. Siamo persone che si sono stancate di assistere impotenti alla distruzione della terra in cui vivono e allo smantellamento dei suoi servizi di base nel tentativo di trasformarla in un parco divertimenti aperto due mesi in estate e tre in inverno.

Con questa nuova azione vogliamo opporre ai riflettori notturni dei grandi eventi, al rumore delle acrobazie aeree e alla monocultura dello sci, un modello di sviluppo diverso, più silenzioso, più rispettoso, che tuteli il nostro patrimonio ambientale e storico, unica ricchezza da preservare oggi, per noi e per le generazioni future.

Perchè proprio il Settsass?

Per quest’azione abbiamo scelto l’area del Settsass, Sief e Col di Lana perché si tratta di un’area interessata da un progetto, fortemente voluto dal presidente della Regione Veneto, che prevede la costruzione di un collegamento sciistico tra il comprensorio di Arabba e quello delle Cinque Torri.

Questo progetto è stato furbescamente spacciato per un progetto di mobilità alternativa per beneficiare di finanziamenti europei e si porrebbe il falso obiettivo di risolvere il problema del traffico automobilistico sui passi dolomitici. La realizzazione di questo collegamento andrebbe in realtà a distruggere una delle pochissime aree dolomitiche rimaste senza impianti. L’importanza storica di cui sono permeati questi luoghi dovrebbe essere sufficiente a scoraggiare qualsiasi progetto in tal senso ma purtroppo non è così.

Fortunatamente, sin dalla presentazione del progetto si è costituito nel Comune di Pieve di Livinallongo un comitato cittadino che, con il nome “ju le màn de nosta tiera” si è prefissato il compito di tutelare questi luoghi.

L’azione di oggi ha l’obiettivo di convogliare la delusione e il dissenso nei confronti delle scelte del governo in un’occasione per ripensare il nostro futuro e riflettere sulla necessità sempre più impellente di ridare il giusto ordine alle priorità della Montagna e dei suoi abitanti #lamontagnameritarispetto”.

Il video della iniziativa

Montaggio a cura di Lorenzo Barutta

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3 Commenti

  1. Iniziativa interessante, ma faccio notare che anche senza sci la montagna nel fine settimana (e non solo) è comunque piena di gente, che svolge proprio quelle attività “lente” che sono citate: sci di fondo, scialpinismo, ciaspole, camminate, anche e soprattutto semplice area aperta…e che la chiusura degli impianti non ha evitato, almeno nelle Prealpi, le code di auto e i parcheggi sovraffollati….

    1. Ma cosa vuol dire? Un conto é l’affluenza di tanta gente in montagna con gli impianti esistenti.Qui si parla dello STOP alla costruzione di nuovi . Cioé continuare a devastare,cementificare la natura per costruirne di nuovi,spingendosi sempre piu’ in quota.

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