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Chiusure per pericolo valanghe. Il Cai di Bergamo: “No divieti, ma formazione”

Siamo sulle Orobie bergamasche e l’elevato pericolo valanghe dei giorni scorsi ha spinto alcuni sindaci a chiudere i sentieri per evitare che incauti escursionisti possano essere vittime di incidenti. Una pratica adottata non solo dagli amministratori orobici, ma anche in passato da loro colleghi sparsi sulle terre alte alpine e appenniniche.

Come spiegano a L’Eco di Bergamo i sindaci di Castione della Presolana (chiusa è tutta la Conca della Presolana) e di Vilminore (che ha vietato alcuni sentieri, tra cui quello per la Diga del Gleno), la ratio di tale scelta è duplice: tutelare i cittadini all’interno del proprio territorio, ma anche gli stessi sindaci. Quale è il timore? per avere un risposta basta tornare indietro a quanto accaduto la scorsa estate alla sindaca di Valbondione, che si è vista notificare a giugno una richiesta di danni di 400mila euro da un escursionista colpito da un sasso su un sentiero. Non un caso isolato: ad agosto al sindaco di Castione della Presolana succedeva la medesima cosa: una pretesa risarcitoria per le contusioni subite a causa della caduta di alcuni massi. “Chiudiamo la Presolana?” aveva ironizzato con amarezza il sindaco sette mesi fa. Ebbene, la Presolana l’ha davvero chiusa questi inverno e altri Comuni hanno fatto lo stesso.

Al tempo, una riflessione l’avevamo già fatta sui due fatti che coinvolgevano i sindaci orobici e che celano un serio problema di mancanza di cultura montana di alcune persone che frequentano le terre alte senza l’adeguata conoscenza dell’ambiente e dei pericoli. Tanto da accusare il Comune se si è colpiti e feriti da un sasso.

Ed è su questo punto che il Cai di Bergamo si è espresso relativamente alle ordinanze di chiusure dei sentieri. “I divieti da soli non possono aiutare a crescere. Ci rendiamo conto del tempo particolare che stiamo vivendo e delle difficoltà, ma facciamo un appello ai sindaci: anziché procedere subito con ordinanze di divieto, ci si confronti con chi ha competenze specifiche in questo ambito, per poter crescere (e far crescere) tutti insieme” dice al L’Eco, il presidente della sezione bergamasca Paolo Valoti. “Come Cai siamo convinti sia necessario continuare a investire ogni energia e ogni mezzo di comunicazione per l’informazione corretta e la formazione alla montagna, per far crescere la consapevolezza dei pericoli e rischi in montagna, e la piena autoresponsabilità di chi la frequenta, e non nel piano inclinato dei divieti e di una presunta sicurezza senza limiti” conclude.

Certamente la strada maestra è quella indicata dal Club alpino bergamasco ed è percorsa da anni da chi si occupa di montagna, come il Cai, le varie associazioni, il Soccorso alpino e noi che facciamo informazione. L’obiettivo è diffondere la cultura delle terre alte, che crea consapevolezza e ha il beneficio di tutelare chi le frequenta, ma anche l’ambiente stesso. Purtroppo, fintanto che accadranno situazioni come quelle di cui abbiamo parlato, è difficile biasimare i sindaci che propendono per la tutela attraverso i divieti. Il sentiero da percorrere è però quello della formazione, ma è certamente in salita, soprattutto di questi tempi in cui sempre più persone si avvicinano alla montagna. Il fatto positivo è che siamo allenati a camminare in salita.

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