AlpinismoK2 invernale

Verso la vetta del K2, ecco cosa li attende

Sono in 10 in quelle tende, esausti e irrigiditi ma, ne sono certo, pieni di determinazione della assoluta convinzione che questa e la più grande occasione della loro vita. Fare acqua, bisogna bere e reidratare il corpo, qualcuno ha vicino le bombole di ossigeno con le quali si accompagnerà, altri hanno scelto di affrontare la grande montagna a viso aperto con lealtà alpinistica. Ma i timori e le certezze, che si alternano mentre il fornello soffia il combustibile e riscalda l’alluminio che contiene la polvere di stelle che pian piano diventa acqua, sono uguali per tutti. Freddo. Le gambe nel sacco di piuma, la tuta di piuma addosso e tutto quanto può proteggere in posizione. Il telo che separa dall’esterno diventa bianco, poi cristallino e quando ti muovi e lo scuoti i cristalli cadono dentro gli indumenti. Tutto quello che va messo prima dell’alba (scarponi, guanti…) è in fondo al sacco a pelo, protetto nella speranza che quando servirà possa non essere sgradevolmente rigido. Acqua e integratori, forse qualche analgesico e qualche pezzo di carne secca, cioccolato e miele. Ancora un sorso d’acqua.

La partenza è una decisone frutto di forze contrastanti: quella dell’ormai insopportabile gelo e quella dell’uscire troppo presto che ti espone alla tortura del momento più freddo della notte. Sai anche che troppo presto significa molto più tempo esposti al tormento e che l’alba e poi il sole, che spunta esattamente alle spalle degli alpinisti che da campo 4 si incamminano per la vetta, dovranno essere attesi più a lungo.

Davanti agli occhi protetti dalle maschere c’è il pendio della Spalla che dapprima è lievemente in salita con la traccia che affonda. Ma subito il grado aumenta, la fatica anche e quando si raggiunge l’incollatura con il canale che porta al Collo di Bottiglia, sopra c’è il grande seracco, il muro strapiombante di ghiaccio in bilico che spinge verso il basso. Il cuore in quel momento si stringe per tutti. Per alcuni l’ossigeno sibila nelle maschere e i loro piedi sono così ancora caldi; per gli altri è la natura dura e pura, la quota è veramente di 8000 metri, in inverno.

Il Collo di Bottiglia pare innevato, ma forse non troppo; forse è “giusto” e questo sarebbe splendido, si risparmierebbe un sacco di tempo e si metterebbero meno corde fisse. Si traversa a sinistra fin quando la seraccata sopra la testa sfuma, a quel punto ci si raddrizza e poi si piega a destra, su fino alla “pinna di pescecane”, 8400 metri, una protuberanza di ghiaccio sul ripido pendio. La neve è alta a tratti crostosa, una traccia che a tratti diventa trincea, fino alla cresta terminale. Lo sguardo, puntato ossessivamente a poche decine di centimetri sul manto di neve immacolato per primo di cordata e sulle sue tracce per gli altri, sfugge nell’infinito del versante nord per centinaia di chilometri. Da alla vetta c’è ancora solo qualche dosso, forse duecento metri.

Se così sarà , spero che per le prime ore del pomeriggio tutti possano aver goduto della loro più intima gioia e si siano avviati verso il basso.

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2 Commenti

  1. Dai ragazzi, forza che ce la fate. Sono con Voi, vi seguo tutti i giorni. Un forte abbraccio da San Giovanni Rotondo. Luciano.

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