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Agitu Ideo Gudeta, simbolo di autonomia e libertà femminile

“La storia di Agitu Ideo Gudeta parlava di emigrazione, accoglienza, integrazione, valorizzazione del territorio, amore per la terra e gli animali, autonomia e libertà  femminile, di nuove radici”. A scriverlo è il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Teresa Bellanova. Un ricordo breve, ma significativo per la sorridente etiope che ha trovato una fine tragica la notte del 29 dicembre scorso, in Trentino, dove la vita le aveva offerto una seconda opportunità. Uccisa a colpi di martello dal custode dell’azienda agricola che la stessa Agitu aveva creato.

Arrivata in Italia diversi anni fa Agitu era una rifugiata fuggita dal suo Paese Natale per scappare al mandato d’arresto emesso dal governo nei suoi confronti. Il suo impegno contro le pratiche del “land grabbind” (acquisto di terreni agricoli da parte di multinazionali a discapito dei popoli locali, repressi e sfruttati) l’aveva resa personaggio scomodo per i vertici del governo etiope. In Trentino, in Valle di Gresta, non senza difficoltà, si era ricreata una vita. Tra queste docili montagne esposte al sole aveva messo in piedi un progetto di recupero e valorizzazione del territorio orbitante intorno alla capra mochena, specie in via di estinzione. Nel giro di poco tempo, per la comunità era diventata la “regina delle capre felici”. Appassionata e meticolosa ci aveva raccontato il suo lavoro, la sua creazione, un paio di anni fa. Partita da appena 15 capre, recuperate brade su per i monti trentini, nel tempo era riuscita a mettere su un vero e proprio allevamento con la produzione di formaggi biologici e a vendita diretta inseguendo una filosofia “no global”.

“La produzione massiccia del cibo lo rende non sostenibile e questo va contro la mia filosofia di vita. Anche la scelta di non vendere ai negozi è fatta per legare a noi il consumatore. Per questo proponiamo anche giornate al pascolo per famiglie: è un modo per conoscersi, per scoprire la mungitura e la produzione del formaggio, fidelizzando il legame e inculcando nelle nuove generazioni la cultura che lega produttore, consumatore e territorio”.

Per la donna, classe 1978, era quasi un dovere la divulgazione delle peculiarità territoriali, della tradizione. Voglio fare il contrario rispetto a quel che han fatto le multinazionali a casa mia, in Etiopia. Lì gli interessi economici hanno portato a espropriazioni di terreni, allo sfruttamento della manodopera, allo sfruttamento delle terre senza nessun riguardo verso le tematiche ambientali”. Per tutte queste ragioni nell’ultimo periodo la sua realtà era stata premiata con la Bandiera verde di Legambiente.

Era felice di quel che era riuscita a creare, da rifugiata a imprenditrice produttiva capace di offrire lavoro. Il primo gennaio avrebbe compiuto 43 anni, era un simbolo di autonomia e libertà femminile.

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