AlpinismoStoria dell'alpinismo

Walter Bonatti racconta la solitaria al Petit Dru

Il 22 agosto 1955 Walter Bonatti, dopo 6 giorni trascorsi in parete, toccava la vetta del Petit Dru (3733 m), nel massiccio del Monte Bianco. Una salita in solitaria, quella affrontata lungo il Pilastro Sud-Ovest, divenuta epica. Il Dru rappresentava all’epoca una sfida all’impossibile. E per Bonatti sfidare i propri limiti era una regola quotidiana. Nel video che vi mostriamo è lui stesso a raccontare la sua avventura.

 

Walter Bonatti aveva puntato già da qualche anno la vetta. Affrontando anche un primo tentativo nel 1953, prima di partire per il K2, con Carlo Mauri. Una prova non andata a buon fine, in cui aveva avuto modo di sperimentare le difficoltà, del meteo inclemente e della roccia. Un secondo tentativo lo aveva visto impegnato nuovamente in parete nel luglio del 1955 con lo stesso Mauri e, in aggiunta, Andrea Oggioni e Josve Aiazzi. Ancora una volta il maltempo ebbe la meglio. La annosa vicenda del K2 bruciava nel profondo dell’animo di Bonatti e lo spinse ad affrontare un secondo tentativo, nella medesima estate, stavolta da solo.

Una folle idea

Nel suo libro “Le mie montagne” descrive la reazione psicologica al fallimento come una improvvisa “folle idea generata dalla depressione morale”.

“Penso di ritornare sul Dru – racconta Bonatti – , di vincere da solo e mi impongo di credere che non è vero che sono un uomo finito. Col passare dei giorni, quello che avevo definito un folle proposito diviene via via un raggio di luce, di speranza e infine di fede e, non molto tempo dopo, si può dire che nella mia mente non esiste altro pensiero che quello di scalare il Dru da solo. Più volte mi vedo sospeso sulle sue rocce, lungo il suo canalone, le placche del suo Ramarro e una fiducia quasi miracolosa mi fa credere che ciò è possibile e che deve avvenire. Quasi per incanto, persino le Placche Rosse non sono più così spaventose; riuscirò dunque veramente a riscattare me stesso?”.

Parte con un gran carico di materiale per poter gestire la scalata in solitaria. Ottanta chiodi, due martelli, una piccozza, quindici moschettoni, tre staffe, due corde da quaranta metri e sei cunei di legno. Si cimenta in una salita difficile già per un team di alpinisti, pressoché impossibile da soli. Apre la via in totale solitudine, riscende, recupera il suo materiale, schioda. Si ferisce più volte le mani ma prosegue, per 4 giorni. Lo accompagnano a tratti il maltempo e in maniera costante la solitudine.

“La solitudine che mi accompagna è così assoluta, allucinante, che più volte mi sorprendo a parlare inconsciamente, a fare considerazioni ad alta voce, a tradurre insomma in parole tutti i pensieri che attraversano la mia mente. Mi trovo persino a discorrere col sacco, come avesse un’anima, come fosse un vero compagno di cordata.”

Il quinto giorno si ritrova bloccato in parete. Come racconta nel video, dopo un paio di pendolate per raggiungere una fessura che sembrava fattibile, si accorge di essere su una muraglia totalmente liscia. Non vede fessure, non può salire né ipotizzare una discesa in corda doppia. Pensa anche di lasciarsi andare, come dichiarerà in alcune interviste, ma dopo aver lottato tanto, ne sarebbe valsa la pena?

Avvistate delle roccette a monte, “delle scaglie strapiombanti che sembravano dita”, inizia a lanciare la corda a mo’ di lazo, sperando che faccia presa. Dopo una decina di tentativi, un nodo incontra la roccia e si blocca. Un ancoraggio fortuito e piuttosto incerto. Riuscirà a mantenere il suo peso? La storia ci dice di sì. La strada per la vetta non sarà certo facile. Toccherà affrontare ancora strapiombi in arrampicata libera ma alle 16.37 del 22 agosto, Walter è finalmente in cima, dopo 6 giorni e 5 notti affrontati su quello che verrà ribattezzato Pilastro Bonatti, purtroppo crollato nel 2005.

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