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Il grado non è tutto, le 5 salite più estreme di sempre

Impossibile identificare in modo univoco e oggettivo le 5 salite alpinistiche più dure. Nell’arrampicata sportiva esiste un fattore chiave che è il grado, nell’alpinismo no. Non essendo quest’ultimo uno sport è quasi impossibile decretare come una salita possa risultare migliore di un’altra.

Si possono valutare le difficoltà oggettive. A queste vanno però sommati molti altri fattori, come le condizioni climatiche, la stagione, le condizioni della via. Salita in solitaria o in cordata, velocità, attrezzatura. Insomma, sono tantissimi gli elementi da tenere in considerazione nella valutazione delle vie. Qui di seguito proviamo a presentarvi le cinque salite, a nostro avviso, più estreme di sempre. Una lista soggettiva non riportata in ordine di importanza, ma seguendo la cronologia degli eventi.

1978 – Nanga Parbat di Reinhold Messner

Scalare un Ottomila in solitaria? Un’idea che oggi non spaventa, sono tante (anche se non comuni) le salite solitarie sui giganti del Pianeta. Negli anni Settanta però nessuno ci avrebbe mai pensato, anche l’alpinista più preparato sarebbe rabbrividito all’idea. Tranne Messner, che dopo aver raggiunto la vetta dell’Everest senza utilizzo di bombole d’ossigeno, partì alla volta del Pakistan. Attorno a sé davvero poca gente, una spedizione ridotta all’osso e, di fronte, l’enorme parete Diamir del Nanga Parbat, quella ai cui piedi era scomparso il fratello otto anni prima. Scelse di salire per una via nuova, nell’incognita più totale in uno degli ambienti più estremi che il mondo possa offrire. La scalata lo impegnò per diversi giorni, senza utilizzo delle bombole, ma alla fine gli riuscì.

Rimane nella storia la foto di lui, solo, in cima alla nona montagna della Terra. Il primo uomo a riuscire in una impresa del genere, purtroppo oscurata dalla più eclatante scalata dell’Everest di qualche mese prima.

1986 – Via Kukuczka-Piotrowski alla sud del K2

Per raccontare l’essenza di questa via è sufficiente sottolineare pochi aspetti: dopo la sua apertura nessuno ha più tentato di ripeterla; Reinhold Messner l’ha definita “suicida” per la pericolosità dell’itinerario.

Il percorso, aperto da Jerzy Kukuczka e Tadeusz Piotrowski, sale lungo la parete sud del K2 in una zona fortemente esposta alle valanghe e alle scariche di ghiaccio, blocchi grossi come automobili che precipitano verso il basso a velocità impressionanti. “A guardare l’itinerario che Jerzy aveva illustrato a Kurt Diemberger e a Gianni Calcagno, presenti allora al campo base, ti venivano i brividi” è il commento di Agostino Da Polenza.

La salita andò perfettamente e, nonostante gli enormi rischi oggettivi, i due polacchi riuscirono a raggiungere la vetta del K2 l’8 luglio, dopo 5 giorni in parete, in stile alpino e senza bombole d’ossigeno. Una scalata sempre sostenuta che consumò le energie dei due e che, per uno strano gioco del destino, vide la morte di Piotrowski in discesa lungo la via normale, quando oramai era lontano dai pericoli della via.

1982 – Trittico del Frêney di Renato Casarotto

Progetto ideato da Renato Casarotto nell’inverno del 1982, il “Trittico del Frêney” è un solitario viaggio alpinistico di 15 giorni in cui lo scalatore vicentino si è messo alla prova portandosi all’estremo. Una dopo l’altra ha salito la via Ratti-Vitali sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peutèrey, la via Gervasutti-Boccalatte al Picco Gugliermina e la via Bonington al Pilone Centrale del Frêney. Partito l’1 febbraio ha raggiunto la cima del Monte Bianco il 14 per poi rientrare a Chamonix il giorno successivo. Totalmente in autonomia, e in completo isolamento dal mondo, ha realizzato il progetto portandosi sulla schiena 40 chili tra attrezzatura e viveri. Una vera e propria impresa, vissuta nel bel mezzo della bufera, su tre delle linee più belle del Monte Bianco.

1989 – Eternal Flame alla Nameless tower (Trango Tower)

Ci troviamo sulla sponda sinistra del ghiacciaio Baltoro, già solo questo basta a dare un’idea di quello che è l’avvicinamento e l’ambiente. Aperta nel 1989 da Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykora Eternal Flame ha riscritto il concetto di difficoltà sulle big wall. Forse anche per questo la linea ha fin da subito attratto i migliori climber al mondo, intenzionati a effettuare la prima salita in libera. Per vent’anni ci hanno provato senza risultati, tutti sono stati costretti a fare dietrofront a causa delle proibitive condizioni meteo o delle elevate difficoltà tecniche combinate con l’alta quota. La prima libera arriva esattamente venti anni dopo, ad opera dei fratelli Thomas e Alexander Huber. “Siamo stati fortunati” il commento di Alexander. “Aprendo Eternal Flame Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Christof Stiegler e Milan Sykora hanno creato la migliore e la più bella via in libera del Pianeta”.

2017 – Monte Edgar di Tomas Franchini

Il trentino Tomas Franchini è un alpinista che sa il fatto suo. Ama muoversi in solitaria alla ricerca di montagne poco note e frequentate, su difficoltà spesso estreme. È un po’ selvatico, ma come potrebbe non esserlo.

Nel 2017, durante una spedizione autunnale in Cina con diversi compagni, vede l’inviolata parete ovest del Monte Edgar (6618 m). Tomas se ne innamora immediatamente e, senza pensarci troppo, decide di partire alla volta della montagna in solitaria. L’arrampicata è subito sostenuta e difficile, ma lo scalatore riesce a proseguire a un buon ritmo. Quando è in vista della cima la neve è pericolosamente instabile con enormi cornici create dal vento, ogni passo va calcolato. La salita dura tutta la notte e alle 6.15 finalmente raggiunge la vetta, da solo, per poi iniziare la discesa verso valle lungo la più semplice cresta sud. Nasce così The Moon’s Power, una grande scalata alla sola luce della luna. Una bella esperienza che racconta quello che è l’alpinismo nella sua forma più pura: desiderio, ambizione, voglia di confrontarsi con qualcosa di sconosciuto, rischio calcolato, incertezza.

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