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Code, ingorghi e incidenti, così la montagna perde

Mancati introiti, ferie consumate durante il periodo di lockdown e insicurezza all’idea di affrontare lunghi viaggi portano alla riscoperta dei territori vicini, quelli a cui magari si è sempre data poca importanza. Così in tanti si riversano in auto sulle montagne alpine e appenniniche alla ricerca di una giornata di svago e, del fantomatico distanziamento sociale.

Le valli si popolano il sabato mattina, con lunghe code di automobili che pazientemente attendono di poter raggiungere i centri abitati più in alto, oppure l’ultimo parcheggio da cui poi partire in escursione. Una condizione nuova per molte aree alpine, dove ingorghi di questa portata non si erano mai verificati con questa frequenza. Un tipo di turismo nocivo, secondo quanto afferma l’associazione “Monte Vector”, da tempo impegnata nella promozione di un approccio slow. “Tra ieri e oggi (sabato 27 e domenica 28 giungo, nda) abbiamo assistito ad una serie di incidenti gravissimi sul Vettore e alla incessante fila di macchine che assaltavano la piana di Castelluccio si sono unite le inquietanti urla di sirene ed elicotteri” scrivono sui social. “Il nostro paradiso si è trasformato in un grottesco inferno del turista mordi e fuggi”.

Lo stesso accade anche sulle Alpi. I fine settimana piemontesi sono ormai caratterizzati dalle code in salita e in discesa dalle valli. Sull’arco alpino occidentale si sono usati nomi forti per identificare questi spostamenti in massa. Alcuni hanno parlato di esodo, altri di invasione e ancora di migrazione. Le valli del torinese quelle che più di tutte subiscono il fenomeno: valli di Lanzo, Canavese e Val Pellice. Tra il 20 e il 21 giugno nel comune di Bobbio, in alta Val Pellice, le auto hanno creato un ingorgo tale da bloccare completamente il paese. Nei comuni della Via Lattea il fine settimana significa corsa al parcheggio, ma non solo. Appartamenti e seconde case vanno a ruba, molte località sono già sold out. Stesso fenomeno anche sulle sponde del lago di Ceresole Reale, letteralmente invaso dai vacanzieri. Un’ora il tempo di attesa in coda per raggiungere la porta piemontese al Gran Paradiso.

Rischi per la sicurezza

I grandi numeri possono creare problemi, soprattutto per la montagna. I bollettini emessi dal soccorso alpino in questi giorni ne sono una prova. Gli interventi sono stati numerosi sia sulle Alpi che in Appennino. Spesso a ingannare è la facilità di accesso o l’idea che sia un percorso semplice e, quindi, per tutti. C’è chi si è perso, chi cadendo ha dato un brutto colpo alla testa perdendo i sensi, chi si è sentito male sfiancato dalla fatica. Non stiamo parlando di interventi su ghiacciaio o su pareti difficili, ma di numerosi interventi dovuti ai grandi numeri. Solo nella bergamasca sono stati eseguiti 4 interventi in poche ore. Sulle montagne bolognesi è stato necessario l’intervento dell’elicottero per evacuare una donna infortunatasi inciampando su una radice. Ancora un biker è stato soccorso in Trentino e due escursionisti sono stati recuperati sulla ferrata del Vajo Scuro, nel padovano. Una giovane donna è invece stata salvata sulla ferrata del Picassas a Baveno e ancora un uomo di 54 anni è stato recuperato dopo essere scivolato sulla ferrata delle Anguane a San Pietro Valdastico. Poi tanti dispersi, escursionisti impossibilitati a trovare la strada di casa, per cui è stato necessario l’intervento del soccorso alpino. Masse dirette in montagna per godere di una giornata all’aria aperta, senza magari aver ben presente le difficoltà e i pericoli insiti in quel territorio. Il consiglio rimane sempre quello di un approccio consapevole dei propri limiti e della necessità di imparare rivolgendosi ai professionisti della montagna, alle associazione o ad amici con esperienza.

Soluzioni

Bisogna lavorare per creare un progetto che eviti assalti e malcontento. A dirlo è Marco Bussone, presidente nazionale di UNCEM. “I sindaci arrabbiati oggi non mancano. E hanno ragione. Perché l’invasione non è concepibile e i limiti valgono per tutti”. Nel frattempo i comuni iniziano ad applicare le prime soluzioni per prevenire questi fenomeni. Il sindaco di Bobbio Pellice ha introdotto un “eco pass” di 3 Euro per accedere alle strade che portano verso il rifugio Barbara Lowrie e all’imbocco della pista per la Conca del Pra (rifugio Willy Jervis). Una regolamentazione per fronteggiare l’arrivo di un alto numero di turisti e garantire una corretta fruizione del territorio, spiega il sindaco. Subito si sono alzate voci contrarie all’iniziativa del primo cittadino, in particolare quelle della locale sezione CAI che lamenta di non essere stata coinvolta nella decisione, con loro anche il rifugio Barbara che spiega come il prezzo di 3 Euro potrebbe allontanare possibili frequentatori già duramente colpiti dal periodo di lockdown. Di diversa opinione è invece il gestore del rifugio Willy Jervis, secondo cui se il parcheggio è a pagamento in città, come in molte altre aree turistiche, “non vedo perché non si possa pagare per una giornata qua”.

Il problema ovviamente non si risolve unicamente con l’imposizione di un pagamento, ma insegnando e mostrando quello che davvero la montagna ha da offrire, la sua cultura e un modo diverso di viverla e frequentarla. Da mesi ormai parliamo di distanziamento sociale, fa onestamente sorridere vedere code di “trekker” in processione su un unico sentiero mentre le valli laterali sono completamente deserte. Ci eravamo ripromessi di andare in cerca di qualcosa di nuovo, delle zone meno note ma potenzialmente affascinanti (qualche consiglio il merito lo sta dando il Cai settimanalmente). Alla fine ci siamo incolonnati sulla scelta più facile, forse aveva ragione Mauro Corona.

Durante il lockdown si parlava di “anno della montagna”, di “rivincita delle terre alte”. Non è così che vince la montagna, con le valli intasate dal traffico e i verdi pendii trasformati in prati per picnic. Cerchiamo di andare oltre la voglia di sole e aria aperta. Cerchiamo di scoprire il territorio, magari allontanandoci dalle mete più frequentate, come ci siamo ripetuti allo sfinimento  durante i lunghi mesi trascorsi in casa. Cerchiamo un reale contatto con il luogo, parliamo con i valligiani. Non servono giorni o mesi per instaurare un rapporto e scoprire una montagna diversa, è sufficiente volerlo. Diamo applicazione ai buoni propositi nati tra le mura domestiche.

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