Montagna.TV

Valle d’Aosta, una petizione per chiedere il ritorno all’aria aperta. Paolo Cognetti tra i firmatari

Cognetti: "Necessario studiare norme adeguate al contesto"

“In Valle d’Aosta vogliamo ritornare, con le dovute precauzioni, all’aria aperta” è il titolo di una petizione lanciata sul portale Change.org da alcuni appassionati. La richiesta è quella di allentare le briglie del lockdown messo in atto dalla Stato per contenere il diffondersi della pandemia di Coronavirus. “In Valle d’Aosta siamo un popolo di montanari. Siamo abituati alle fatiche e alle restrizioni, al lavoro manuale, al freddo e alla solitudine, ma non a vivere lontani dai nostri boschi, dai pascoli, dai torrenti” scrivono. “Un montanaro chiuso in casa si ammala nel corpo e nello spirito. Siamo del tutto consapevoli della gravità dell’epidemia in corso, tuttavia crediamo che le misure per contenerla vadano adeguate a un territorio e a una popolazione, non ha senso prenderle dalle città ad alta densità e semplicemente applicarle alla montagna”. Il messaggio è chiaro ed è diretto al Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Oltre seimila le adesioni raccolte finora, tra i primi firmatari lo scrittore Premio Strega Paolo Cognetti che abbiamo raggiunto telefonicamente per approfondire il tema.

Paolo, come mai hai deciso di aderire alla petizione?

“Perché tra le montagne stanno accadendo delle assurdità. La cronaca di questi giorni arriva in maggioranza dalle città e come al solito le aree interne non trovano spazio di racconto. Ci sono però alcune illogicità, come l’impossibilità di poter uscire per fare l’orto a meno che questo non sia nelle immediate vicinanze dell’abitazione. Non ci si può fare un giro sul sentiero di fianco a casa. La pressione delle forze dell’ordine è molto forte in questi territori dove la popolazione è più rada. Paradossalmente in questo periodo si è più liberi a Milano.

La petizione è il modo per chiedere delle norme che siano adeguate ai territori. In emergenza se emetto una legge ovviamente tutti la rispettano, con il tempo si può però ragionare sul fatto che una norma adeguata a Milano non vada bene a Brusson o in altre località montane dove il rapporto tra la persone e il paesaggio è ben diverso. In quota la vita all’aria aperta è il fondamento dell’attività quotidiana, della convivenza, non la si può impedire troppo a lungo.”

Tu in questo momento ti trovi a Brusson o a Milano?

“Sono a Milano. Inizialmente, prima della chiusura, ho pensato di andare su ma alla fine ho preferito non spostarmi. Con il tempo, sentendo alcuni amici, mi sono reso conto che in questo momento la vita in quota è molto più difficile di quella che sto facendo a Milano.”

Come stai vivendo questo periodo?

“Con molta calma rispetto al momento attuale. Se c’è qualcosa che ci insegna la montagna è proprio il saper aspettare. Questo sta così diventando un momento in cui coltivare una forza interiore, quella che serve quando devi attendere che un momento difficile passi. Sotto certi aspetti sono giorni proficui, anche se vissuti con preoccupazione per il futuro.”

A proposito di futuro, come immagini il dopo?

“Faccio fatica a guardare troppo lontano, penso a quest’estate, sta cambiando tutto troppo in fretta. Mi immagino che le persone vorranno passare più tempo in montagna, questo confinamento ha creato un profondo desiderio di viverla.

In pochi andranno all’estero e pochi verranno dall’estero. Sarà forse un’estate simile a quelle di una volta. Chi ha una seconda casa ne approfitterà, magari la useranno come postazione per lo smart working.”

Pensi che possa essere un’opportunità per dare avvio a una rinascita della montagna meno frequentata?

“Può essere ma bisogna capire quali strutture potranno aprire. Al momento la situazione è preoccupante.

Ci saranno certamente persone che vorranno andare in montagna, ma se le strutture ricettive, i bar e i negozi saranno tutti chiusi questo afflusso non è considerabile come una risorsa per i montanari.”

Per la riapertura sarà necessario osservare norme precise…

“Si, tenendo però conto che bed and breakfast e rifugi non sono equiparabili ai grandi alberghi. Penso che sarebbe un errore fare delle norme uniche per tutti. Bisognerebbe trovare il modo per far riprendere queste attività, altrimenti è veramente dura per un settore che già è sempre in difficoltà.”

Pensi che questa chiusura possa essere stata di aiuto per comprendere la necessità di una maggior attenzione ai territori di montagna dove i servizi scarseggiano?

“Ne parlavo giusto qualche giorno fa, per via della donazione di mezzi portata avanti dal CAI. Questo periodo ha messo in luce una carenza di servizi spaventosa. Pochi ospedali, pochi medici di base, popolazione anziana. Spero davvero che questo periodo possa spingere gli amministratori a riflette su un diverso tipo di assistenza.”

Exit mobile version