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“Otzi. L’ultimo cacciatore” – Mountain and Chill

Otzi, l’uomo venuto dal ghiaccio. Un personaggio misterioso, la cui storia, in particolare gli ultimi giorni di vita, sono in corso di studio da parte dei ricercatori dal 1991, anno della scoperta della sua mummia sulle Alpi Venoste, al confine tra Italia e Austria. Nel 2018 il regista Felix Randau ha deciso di portare la vita dell’uomo del Simulaun sul grande schermo, in un mix di ricostruzioni scientifiche e fantasia.

Otzi, un uomo ferito e assetato di vendetta

“Otzi. L’ultimo cacciatore” (1h 32 min, 2018) ci porta pertanto indietro nel tempo di 5.300 anni, fino all’Età del Rame. Qui troviamo il clan cui appartiene Otzi ai piedi delle Alpi, in prossimità di un torrente. Il gruppo conduce una vita di caccia e allevamento del bestiame. Accanto alle attività necessarie per il sostentamento, le occupazioni degli uomini di questa epoca remota appaiono essere due: la lavorazione delle pelli e il sesso.

Il clan viene mantenuto coeso dalla religione, sotto la guida del leader Kelab (il nostro Otzi), che è non solo sciamano ma anche primo tra i cacciatori. È lui che presiede alla nascita e alla morte dei componenti del clan. Al centro dei rituali vi è poi una misteriosa reliquia, chiamata “Tineka“, custodita in una piccola scatola di legno. Sarà questo oggetto la causa scatenante di una faida con un clan rivale che, con l’obiettivo di rubarla, attaccherà il villaggio sterminandone gli abitanti. Sopravviveranno soltanto Kelab, al momento dell’attacco impegnato in una battuta di caccia, e un neonato, suo figlio, salvato grazie al sacrificio del fratello maggiore.

Alla ricerca di vendetta e del recupero della sacra reliquia, Kelab partirà all’inseguimento dei barbari tra le vette alpine.

La pellicola, disponibile su Prime Video, è strutturata come un action preistorico, con pochi dialoghi e molta azione. È il corpo a parlare nella maggior parte delle scene. La lingua che compare qui e là è l’antico retico, una lingua estinta e molto poco conosciuta. Particolare scelta del regista è la mancanza di inserimento di doppiaggi e sottotitoli, con la finalità di una maggiore immedesimazione dello spettatore.

Cosa sappiamo realmente di Otzi

Di Otzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio o Uomo del Similaun, sappiamo che circa 5.000 anni fa si avventurò sulle gelide alture dei ghiacciai della Val Senales e qui morì. Il nome che gli fu affidato dai ricercatori è omonimo della valle confinante con il sito del ritrovamento della sua mummia. Un cadavere ben conservato, di 15 chili di peso per 1.60 m di altezza. Accanto a lui furono ritrovati anche il suo mantello, le scarpe, una faretra, dei calzoni e un’ascia particolare, lavorata prima a colata e poi saldata. Grazie a tale oggetto fu avanzata una prima vaga datazione. Grazie ad approfonditi e sofisticati studi scientifici dei reperti, i ricercatori hanno ricostruito un quadro antropologico più che soddisfacente.

Al momento della morte Otzi era già un adulto, forse sui 46 anni. Una bella età per un’epoca in cui l’aspettativa di vita media non era superiore ai 30-35 anni. Era in buona salute ma probabilmente affetto da una malattia cronica non ben chiara e da dissenteria. Nel suo intestino sono state infatti trovate uova di tricocefalo. Una elevata presenza di arsenico nei capelli è prova di una frequente partecipazione alla lavorazione di minerali di rame.

Sappiamo anche precisamente quale sia stato il suo ultimo pasto:una purea o del pane di farro, carne di stambecco e cervo e verdure imprecisate. Lo studio dei pollini presenti nell’intestino ha portato gli scienziati a concludere che dodici ore prima della morte fosse ancora in Val Venosta.

Andando più a ritroso nel suo passato, grazie allo studio di alcuni isotopi, è stato scoperto che abbia trascorso l’infanzia con alta probabilità nella Val d’Isarco o Val Pusteria. Da adulto si sarebbe spostato forse in Val d’Adige. Gli studi a riguardo sono ancora in corso.

La sua morte potrebbe essere stata causata da una freccia, le cui tracce sono state rinvenute sulla spalla sinistra. La sua punta avrebbe danneggiato un’importante arteria causando un rapido dissanguamento di Otzi. La freccia fu scoccata dal basso, da circa 100 metri di distanza. Vi sono anche segni di un trauma cranico precedente alla morte e una ferita da taglio profonda sulla mano destra, che potrebbe rimandare a una colluttazione. Elementi che lasciano numerosi dubbi sulla dinamica delle sue ultime ore di vita.

La sua mummia, insieme ad alcuni oggetti recuperati presso la sede del suo ritrovamento, è custodita presso il Museo Archeologico dell’Alto Adige.

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