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Chi era Roberto Ferraris, la guida morta sotto la valanga. Gallo: “L’unica cosa da fare è tacere”

Una giornata nera sulle Alpi quella di domenica 15 dicembre 2019. Tre valanghe hanno provocato tre morti, tra questi la guida alpina Roberto Ferraris. Piemontese di origine ma valdostano d’adozione Roberto era Brigadiere capo e vicecomandante del Soccorso alpino della Guardia di Finanza – Sagf di Cervinia.

Era un professionista della montagna, una persona che sapeva come muoversi in territori d’alta quota. “Un appassionato che amava quel che faceva” lo ricorda il Maresciallo aiutante Massimiliano Giovannini. “Era orgoglioso di essere un tecnico di elisoccorso e di essere una guida alpina. Era preparato e ci teneva a essere sempre pronto e aggiornato sia dal punto di vista tecnico che fisico. In servizio era sempre disponibile, a qualunque scattasse l’allarme era sempre il primo a rispondere”.

Ferraris è stato un prolifico apritore di vie e un forte ripetitore. Nel sul curriculum, ci racconta l’amico François Cazzanelli, molte salite al Cervino tra cui lo Spigolo dei Fiori; la seconda ripetizione della Casarotto-Grassi. E ancora la nord dell’Eiger con Marco Farina e poi le nuove vie. “Nel corso degli anni con lui e Marco ne abbiamo combinate di tutti i colori” ricorda con un sorriso amaro Cazzanelli. “Tra le realizzazioni più belle sicuramente la prima invernale sulla Diretta alla parete sud Cervino. Una settimana fa di nuovo insieme sulle Grandes Murailles, per la prima ripetizione di “Petit Lumignon”. Un alpinista e uno scialpinista preparato e competente. Purtroppo il rischio è insito nella stessa pratica della montagna, ognuno di noi è disposto a rischiare in maniera diversa e questa scelta non può essere giudicata.

Il commento di Maurizio Gallo

Quando succede un incidente si scatena il coro degli esperti, di quelli che sanno tutto, che iniziano a buttare benzina sul fuoco di una tragedia. Incoscienza, incapacità tecnica, fino alla delinquenza sono appellativi che sentiamo da tutte le parti. Anche gli ‘esperti’ si fanno forza dicendo: “A me non sarebbe mai successo”, “come si fa a sciare con questi bollettini?”, e chi più ne ha più ne dice.

Da una parte tutti sappiamo che la montagna è sempre piena di incognite e rischi; dall’altra ci trinceriamo dietro quella falsa sicurezza che vede gli errori degli altri e mai i propri.

Leggiamo decaloghi sui consigli e istruzioni per l’uso che quando si mettono gli sci sulla neve purtroppo servono molto poco.

Nel mio piccolo sono passato spesso fra coloro che vengono definiti fuori di testa, che si prendono troppi rischi e diverse volte ho sciato in condizioni difficili o mi sono trovato dentro a qualche valanga dove non me lo sarei mai aspettato; altre volte ho visto valanghe staccarsi a soli 100 metri da dove sciavo io. Chi scia tanto sono sicuro conosce bene queste situazioni e molto spesso è solo questione di fortuna, non solo di capacità di lettura.

In passato anch’io, analizzando gli incidenti capitati ad altri, dicevo che avevano sbagliato, che non era possibile e che io non sarei mai andato lì, elencando quali erano stati tutti gli errori commessi (quasi un monito e un approfondimento personale). Poi ho capito che l’unica cosa da fare è tacere, fare un silenzio profondo, pensare a quanto successo e piangere per la morte di un collega.

Cerco di farmi parte del dolore che rimane nelle case, mi concentro sul silenzio anche del pensiero. Stare zitti è la cosa più giusta da fare e farsi belli dietro alle disgrazie capitate ad altri è pura indecenza.

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