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Intervista a Nirmal Purja: “Le critiche? Non mi toccano. Anche Messner è stato criticato”

Nirmal Purja non necessita certo di presentazioni. Da quando, nella primavera 2017, ha iniziato a mediatizzare il suo “project possible” il suo nome si è fatto largo tra gli appassionati e gli amanti della montagna. Obiettivo? Salire i 14 Ottomila in un tempo di sette mesi. Non ci avremmo scommesso un centesimo sulla buona riuscita di questo progetto eppure, oggi dobbiamo ricrederci. Certo, non ha seguito i canoni etici dell’alpinismo moderno che vuole salite in stile alpino e, soprattutto, senza l’ausilio di ossigeno supplementare. Ma ce l’ha fatta. Da quando il 23 aprile 2019 l’ex Gurkha nepalese ha raggiunto la vetta dell’Annapurna non si è più fermato macinando metri di dislivello e portando a casa vette a una velocità impressionante.

Classe 1983, ex membro delle squadre speciali britanniche, Nirmal ha speso tutto il suo tempo (e non solo) in questo progetto che per lui aveva un significato particolare. Voleva guadagnarsi il suo piccolo posto nella storia dell’alpinismo, ci è riuscito come il più veloce. Lasciamo però la parola a Nirmal e facciamoci raccontare da lui la sua esperienza dove l’aria si fa rarefatta.

 

Nirmal, com’è stato arrivare in cima allo Shisha Pangma e completare il tuo progetto?

“È stata un’esperienza entusiasmante, mi sono sentito soddisfatto di me stesso, del risultato raggiunto, anche se addosso avevo una grande pressione mediatica. Avevo gli occhi del mondo puntati addosso, tutti aspettavano di vedere come sarebbe finito il mio progetto. Oggi che l’ho concluso mi sento umile, ma anche orgoglioso.”

Ti ha cambiato questa cavalcata sui 14 Ottomila?

“Sono lo stesso di prima, ma con più esperienza. Non ho tempo di rilassarmi e godermi il momento, devo continuare la mia attività per mantenere la mia famiglia e pagare il mutuo della casa. Adesso, per esempio, sono al campo base dell’Ama Dablam come guida di un gruppo per la Elite Himalayan Adventures.”

In molti hanno criticato il tuo progetto affermando che non ha nulla a che vedere con il vero alpinismo. Cosa rispondi?

“Ci sarà sempre chi criticherà, ma finché a farlo sarà qualcuno che sta seduto dietro a una scrivania la cosa mi tange molto poco. Anche Messner è stato criticato da persone comodamente sedute in poltrona. Penso che prima di alzare la voce, dare pareri e criticare bisognerebbe provare a mettersi in gioco, a fare quello che ho fatto io. La critica fa però parte della natura umana, quindi se uno vuole farlo: che lo faccia.”

Alla base del tuo progetto c’era anche l’ambizione di mostrare al mondo quello che è il valore degli alpinisti nepalesi?

“Esattamente. Uno degli scopi del mio progetto era quello di promuovere i climber nepalesi coltivandone le abilità e promuovendoli a livello internazionale. Gli alpinisti nepalesi non hanno nulla da invidiare a quelli occidentali per quanto riguarda le capacità tecniche. Hanno un livello veramente alto.”

Qual è stato l’Ottomila più difficile?

“Non saprei dire qual è stato il più difficile, tutto dipende dalle condizioni che incontri durante la scalata. Il Dhaulagiri per esempio è stato estremo a causa delle condizioni meteo; sul Kangchenjunga tre ragazzi hanno rischiato la vita ed è stato necessario usare l’ossigeno quasi subito; il K2 è invece una storia a sé. Ogni Ottomila ha una sua storia e una sua difficoltà.”

Cosa farai ora che hai completato il tuo progetto?

“Continuerò a lavorare per aiutare la mia famiglia.”

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