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Nirmal Purja, l’alpinismo e i media

Profluvio di commenti dai vertici dell’Himalaysmo, sui giornali e sui social network in onore dell’impresa del nepalese Nirmal Purja: 14 ottomila saliti in meno di 7 mesi. Dagli alpinisti “normali” (ottimi o anche solo bravi) e persino da quelli storici e acculturati non si è sentito però nulla. Un silenzio che non poté essere più assordante.

Per la verità, qualche rara perla è pervenuta a riguardo del presunto riscatto che il gurkha Nirmal, addestrato militarmente e orgogliosamente membro delle squadre d’assalto inglesi, avrebbe “finalmente” realizzato dall’alpinismo coloniale occidentale in Himalaya. In realtà, che i nepalesi da anni si siano riscattati alpinisticamente ed economicamente dagli “occidentali”, almeno per le faccende che riguardano la gestione delle attività sportive sulle loro montagne e non solo, è cosa nota a tutti. Dire strumentalmente il contrario è razzista e discriminatorio proprio nei confronti dei nepalesi.

Per il resto, si registra grande entusiasmo, anche se un po’ tecnicamente confuso, da parte dei media di tutto mondo.

Al fine di evitarmi insulti mediatici, commenterò quanto scritto a proposito dell’impresa di Purja dal quotidiano inglese The Guardian e dall’amico Stefano Ardito sulle pagine del Messaggero e di montagna.tv.

Prima di tutto una premessa: “Nims”, come lo chiamano nemmeno fosse l’amico di salita della domenica o del bar, a detta di tutti, sottoscritto compreso, è incredibilmente preparato nel corpo e nel cervello, assolutamente determinato e convinto della giustezza di quel che ha realizzato. E in tal senso, la “Performance d’Alta Quota” da lui realizzata è un’impresa formidabile.

Inoltre, anche l’organizzazione logistica e perfino diplomatica è stata assolutamente efficace e la raccolta fondi ottima. Sappiamo anche che Nims è una persona generosa che non esita a mettere in gioco se stesso e la propria impresa per aiutare altri in difficoltà. Nims ci crede talmente che, come ci dice il Guardian, per realizzare la sua “corsa sugli 8000” ha venduto casa e si è dimesso dalla Royal Navy. Infine, Nirmal Purja non vive a Kathmandu ma a Southampton.

Fatta la premessa, cosa racconta Nims al Guardian in una delle pochissime interviste da lui rilasciate?

Che l’arrampicata è stata “la parte facile”, che “le vere sfide sono state la logistica e la raccolta fondi”, ma che “forse la cosa più difficile di tutte è stata la diplomazia richiesta per convincere le autorità cinesi ad aprire l’ultima montagna della sua lista, lo Shisha Pangma, che era stata chiusa agli scalatori per un anno”. Un successo diplomatico di cui Nims pare particolarmente orgoglioso: “Dopo aver scalato tutte le montagne in Pakistan, sono tornato subito in Nepal e ho lavorato per convincere i cinesi a lasciarci salire sullo Shisha Pangma“, il più piccolo degli 8000 e l’unico 8000 in Cina.“Era pazzesco, ma l’ho fatto accadere. Fa parte del mio addestramento delle forze speciali: ti viene insegnato a trovare una soluzione e a non cercare scuse“.

Riguardo i due soccorsi effettuati uno sull’Annapurna e uno sul Kanchenjunga, Nirmal dice: “Non si tratta di ego, ma di principi. Non puoi definirti un alpinista se non aiuti gli altri in quelle situazioni“. Torna alla mente, anche in questo caso, la sua educazione british e delle squadre d’assalto, pronti ad uccidere ma anche a soccorrere.

Il Guardian ci racconta anche il Nims che insegue i trend mediatici. Posta una foto dell’affollamento orribile sulla via normale dell’Everest e “spera che l’attenzione internazionale ora focalizzata sulle sue salite aiuti a far raggiungere un profilo più alto agli alpinisti nepalesi i cui sforzi sono troppo spesso eclissati dalla copertura mediatica data agli alpinisti occidentali”. Giusto in principio e vero per quanto riguarda la copertura mediatica, ma va anche ricordato che l’80 % del business sugli 8000 in Himalaya e Karakorum è gestito da nepalesi. Va anche considerato che molti sherpa hanno salito gli 8000 senza ossigeno, magari più volte l’Everest, accompagnando i loro clienti. Solo recentemente alcuni bravi alpinisti nepalesi sono entrati nel gioco dell’alpinismo non solo per lavoro, ma anche per passione sportiva. Questo inverno Mingma Sherpa tenterà con una spedizione di salire il K2.

Pensando al K2 in invernale, Nims ci dice una cosa che tutti gli sportivi e non solo sanno da prima e dopo de Coubertin: “I record sono fatti per essere battuti, le persone sono limitate solo dalla loro immaginazione, gli esseri umani sono in grado di fare cose incredibili“.

Il Guradian registra le positive opinioni di Messner all’impresa di Nims, così come le polemiche per l’uso dell’ossigeno, sintetizzando queste ultime nella lapidaria frase, anch’essa molto british, di Sir Chris Bonington (un monumento dell’alpinismo, anche coloniale) il quale pensa che Nims alla fine sarà visto come una “nota a piè di pagina” della storia dell’alpinismo. Mica niente.

Passo a Stefano Ardito, dotto d’alpinismo e amico. Fatte salve e valide le premesse sull’impresa eccezionale di Nims di cui sopra, sommessamente vorrei discutere alcune sue affermazioni.

Stefano dice che Nims e il suo staff “non hanno raccontato nessuna balla. Il Gurkha ha descritto le sue salite nei dettagli, e non ha nascosto l’uso di respiratori ed elicotteri”. Vero per i dettagli e le descrizioni dei particolari tecnici e logistici, ma la gran mistificazione che Nims e il suo staff avvallano è che quel che lui ha realizzato è comparabile a quello che altri alpinisti hanno fatto prima di lui. Parliamo di Messner, Kukusczka, Loretan, Mondinelli, Oiarzabal, Urubko, fino al coreano Kim Chang-Ho, che nel 2013 ha completato i suoi 8000 in 7anni,10 mesi e 6 giorni senza ossigeno, come gli altri 19 alpinisti che gli 8000 li hanno saliti, ripeto, senza l’uso dell’ossigeno supplementare, questione assolutamente discriminante per valutare l’impresa di Nims e collocarla dentro la “storia” dell’alpinismo classico e himalayano o delle Performance d’Alta Quota.

Infine, Stefano prende in considerazione come un tentativo di “diminutio” della colpa, peraltro non esplicitata, di “leso alpinismo”, la questione che Nims non avrà emuli, non foss’altro per i costi e l’impegno organizzativo necessari. Vero, probabilmente, anche se lo stesso Nirmal sul Guardian lancia la sfida. E forse purtroppo, proprio per la gran cassa suonata, avrà un’infinità di emuli estemporanei che si scateneranno sugli Ottomila con ossigeno, sherpa a servizio e supporti d’ogni genere, farmaci e elicotteri compresi. I campi base diventeranno dei gran bazar (quello dell’Everest già lo è) e tutti (salvo pochi sfigati) vivranno felici e contenti.

Questo è il Nims-alpinismo. Se a qualche grande dell’alta quota piace, che devo dire? A me così no! Anche se, ripeto fino alla noia, l’impresa di Nims è eccezionale e fa venire la rabbia che non abbia pensato a realizzarla nello spirito dell’alpinismo classico e dello sport. Magari avrebbe impiegato 18 mesi, ma sarebbe stata per davvero una grande impresa anche culturale, etica, sportiva, alpinistica e un gran esempio di rispetto della montagna e della natura. Questa di Nims è invece dimezzata, un’occasione in parte persa

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