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Gogna su “Save the mountains”: è un’iniziativa imprenditoriale, nulla a che vedere con l’ambiente

“Salva le Orobie da ‘Save the Mountains’” è la petizione lanciata sul web che in questi giorni sta raccogliendo numerose adesioni da parte di appassionati contrari all’iniziativa del CAI Bergamo, che prevede di portare sui sentieri delle Orobie circa diecimila persone contemporaneamente. Fissato per il prossimo 7 luglio, il progetto sta suscitando l’opposizione di molti nomi noti nel mondo della montagna, tra questi anche Alessandro Gogna, guida alpina, alpinista, fondatore e garante dell’associazione Mountain Wilderness.

 

Gogna, si è fatto un gran parlare di questo progetto: a cosa si deve la sua contrarietà?

“Credo che qualunque manifestazione di massa, non solo questa, che si svolga in montagna non sia altro che una scusa per ottenere un insieme di altre cose”.

Per esempio?

“Intanto il prestigio di aver organizzato un evento del genere, infatti parlano di guinness. Un riconoscimento che, tra l’altro, il CAI Bergamo ha già ottenuto due anni fa con la cordata della Presolana, perdendo un po’ di vista, a mio parere, quella che dovrebbe essere la sua ‘mission’.

In secondo luogo c’è la questione economica, perché è chiaro che diecimila persone fanno gola: qualche soldo sul territorio lo lasciano, bisogna però valutare se questo compensa i danni prodotti.

La cosa certa di questa iniziativa è che non la si può chiamare “Save the Mountains”, si tratta di un progetto imprenditoriale”.

Nella sua visione come dovrebbe essere un “Save the Mountains” coerente con il proprio nome?

“Dovrebbe essere un evento non di massa, non invasivo, rispettoso dell’ambiente nel vero senso della parola. Un momento in cui insegnare la cultura delle terre alte. A supporto dell’iniziativa principale ci dovrebbe poi essere tutta una serie di attività collaterali in grado di ampliare e approfondire il discorso.
Quando l’obiettivo principale è invece portare diecimila persone in una ventina di rifugi si capisce subito che qualcosa non va. Venti rifugi vuol dire che qualcuno sarà a quattro ore di cammino e qualcun altro a mezz’ora. S’immagini allora cosa possa significare avere diecimila persone in giro: non quattrocento persone a rifugio, ma dieci in quelli più lontani e tremila negli altri”.

Nelle dichiarazioni rilasciate a Montagna.TV, il presidente Valoti ha sottolineato che l’obiettivo finale è quello di creare “degli ambasciatori di sostenibilità”…

“È un ossimoro, una contraddizione interna. Non si possono creare degli ambasciatori di sostenibilità in questo modo. La montagna dovrebbe essere un posto di pace, di silenzio, non puoi riminizzarla portandoci su diecimila persone in quella maniera, anche solo per un giorno. So bene che quella singola giornata non rovina l’ambiente, non sono preoccupato per questo. Credo anzi che l’organizzazione avrà pensato a un sistema per eliminare tutti i rifiuti. Io critico l’idea alla radice: è la massa il problema”.

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