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“Mi trovo bene per aria” parola di Aaron Durogati

Aaron Durogati non necessita di grandi presentazioni. Nel corso della sua vita ha imparato a guardare il mondo da un’altra prospettiva, a sentire le emozioni scorrere attraverso il vento, ad assaporare la brezza che lo porta lontano a bordo del suo parapendio. Si lancia da montagne, sfiora pareti e gode di quell’altezza che lo allontana da terra accompagnandolo in luoghi solo per pochi. Accarezza le chiome degli alberi Aaron, due volte campione del mondo di parapendio, quando si stacca da terra per disegnare rapide figure nel cielo o, “più semplicemente”, per percorrere oltre cinquecento chilometri senza mai bisogno di atterrare. Montagna, corsa, arrampicata, bici, volo. Questa è la sua vita, la sua passione che lo scorso gennaio l’ha portato fino in Patagonia alla ricerca di qualcosa di nuovo. Un’esperienza di volo adrenalinica, quasi estrema per i forti venti che caratterizzano quell’angolo di Pianeta. Un viaggio con cui Aaron ci ha regalato una Patagonia nuova, da scoprire attraverso i suoi occhi volanti e sognatori. L’abbiamo intercettato in aeroporto, pronto a partire per la finale di Coppa del Mondo di parapendio approfittandone sia per conoscerlo meglio che per fargli passare in compagnia le lunghe ore di attesa prima dell’imbarco.

 

Aaron, come ti è venuto in mente di volare tra le vetta patagoniche?

L’idea di andare in Patagonia è partita dal mio compagno Daniel (Ladurner, nda). Dopo essere stato sulla Nord dell’Eiger, mentre io ero impegnato con le gare, mi ha confessato che gli sarebbe piaciuto andare in Patagonia. Da lì ci siamo motivati a vicenda, fino a concretizzare questa idea.

Sono partito molto tranquillo, con l’idea di provare a fare qualcosa in parapendio dato che non era mai stato fatto nulla tra quelle montagne. Stiamo però parlando di un posto molto duro, che ho preferito affrontare con una filosofia molto rilassata: proviamo a fare qualcosa, altrimenti va bene lo stesso.

Alla fine hai fatto tantissimo…

Si, anche se con mille difficoltà. La prima cima che abbiamo fatto, la Aguja Poincenot (3002 m), è stato molto traumatica perché ci ha subito messi di fronte all’impossibilità di volare. Il tempo era bello, ma c’erano raffiche di vento che superavano di gran lungo i 100 chilometri orari.

A proposito di vento, come si vola in Patagonia?

Dopo essere arrivato in cima all’Aguja Poincenot ho pensato che non avrei mai volato. Con il tempo però sono riuscito a capire come destreggiarmi con quelle condizioni. Le giornate volabili esistono, ma bisogna sapersi adeguare al luogo: con raffiche oltre i 100 orari non voli ma, se il vento soffia a velocità tra i 60, 70 o anche qualcosina in più allora puoi decollare. Decolli nei sottoventi delle grandi pareti dove si creano delle bolle di aria più calma.

Un volo molto tecnico…

Si, con il tempo però sono riuscito a capire le dimensioni di queste bolle d’aria (più la parete è grande, più la bolla è grande) e sono riuscito a volare. Di grande aiuto mi sono stati i laghi che affollano la zona perché, guardando la superficie dell’acqua ho potuto intuire l’intensità del vento alla varie distanze da me, sapendo così quando continuare o quando arrestare il volo.

Con che bagaglio di esperienza sei tornato a casa?

La Patagonia è stata un mix di tante sensazioni. Oggi come oggi ho in testa il ricordo di un’esperienza dura, ma allo stesso tempo bellissima. Grazie al volo ho potuto godere di queste montagne da una prospettiva diversa, cosa che per cui mi ritengo molto fortunato.

Sono però anche contento di come ha reagito il mio fisico e la mia mente, tutto ha funzionato bene. Se ripendo ad esempio alla salita più difficile, quella all’Aguja Saint Exupery (2558 m), dove sono stato 14 ore in parete e poi ho volato provo ancora emozione. Scalare per tutto quel tempo e poi trovare la concentrazione per decollare, in un posto dove non puoi sbagliare nulla, è un’emozione forte che ti fa urlare. Ho gridato per tutto il volo, dovevo scaricare.

Lo scorso novembre, sempre in Sud America, sei invece rimasto in volo per oltre 11 ore percorrendo 509,6 chilometri sfiorando il record mondiale…

Ovviamente il mio obiettivo era il record del mondo di volo libero in parapendio, ma bisogna adattarsi a quel che ti viene concesso dalle condizioni climatiche. Per fare un record del mondo non basta essere bravi, allenati e fare scelte corrette. Bisogna anche avere la fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto. Per questo sono convinto, con le giornate che ho trovato, di aver fatto il massimo possibile. Sono soddisfatto quasi come se avessi fatto il record.

Torniamo indietro nel tempo, ricordi il tuo primissimo volo in parapendio?

Certo, quando avevo 6 anni in biposto con mio padre Rolando nella zona di casa, in Val Passiria. Sinceramente devo dire che non ho molti ricordi di quella prima volta perché ero davvero piccolo, certamente però deve essermi piaciuto se poi mi ha preso così tanto (ride).

Ricordo che da adolescente ero un po’ spericolato e spingevo tanto con mio papà per poter iniziare a volare. Lui è stato però bravo a frenarmi fino ai 15 anni, quando ho fatto i miei primi voli da solo. L’anno dopo ho poi dato l’esame per il brevetto.

Oggi quanto e come ti alleni?

D’inverno passo molto tempo facendo sci alpinismo. Nel resto delle stagioni invece pratico tantissima corsa, anche se adesso ho dovuto ridurre a causa di qualche problema alle ginocchia, poi palestra e, chiaramente, volo. Ogni giorno in cui è possibile volare faccio almeno una sessione di parapendio. Non credo di avere giornate di stop.

Oltre a volare sei quindi un atleta completo, quante attività pratichi?

Sci alpinismo, freeride e sci ripido sono quelle che mi appassionano di più. Negli ultimi anni il ripido mi sta motivando tantissimo. Poi volo, arrampico sia su roccia che su ghiaccio, corro e vado in bici, soprattutto da quando ho avuto problemi alle ginocchia.

Nuoti anche?

Purtroppo si, ma non mi piace per nulla. Faccio due sessioni di allenamento settimanali in piscina.

Che sensazioni vai cercando quando voli?

Dipende da quel che sto facendo. Quando sono in aria con vele piccole e gli (o anche senza sci), quando faccio speedriding e speedflying, ricerco l’estetica del volo. Disegno in aria delle linee, essenzialmente, anche se nel momento dell’azione tutto accade così velocemente che non ha il tempo di metabolizzare quel che stai facendo.

Il volo di distanza invece è più calmo e più riflessivo, è bello vedere le cose dall’alto. Mi trovo bene per aria.

Tra pochi mesi, il 16 giugno, riparte il RedBull X-Alps?

Sto arrivando al punto da essere pronto come voglio. Come ho già detto ho avuto qualche problema alle ginocchia e l’X-Alps, per il corpo, è una delle gare più dure che si possano fare. Negli ultimi mesi ho investito tanto su allenamenti particolari e su terapie con infiltrazioni di plasma.

In Patagonia ho avuto occasione di testarmi camminando per circa 300 chilometri e il corpo ha reagito molto bene, anche le ginocchia. Credo che sarò pronto per giugno. Inoltre il team che mi seguirà è molto affiatato e preparato. Tutti i ragazzi sono competenti. Non vedo l’ora di iniziare.

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