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Michele Enzio, la guida alpina che vola come le aquile

Testo di Veronica Balocco, giornalista per professione, scrittrice per passione, viaggiatrice e sognatrice per deformazione genetica. Potete leggere i suoi articoli ed racconti delle sue esperienze sul sul blog www.verofinoinfondo.it

 

Volare è la cosa più bella del mondo”. Come fai a contraddire una frase così? Te la dice con la voce che brilla, come non ci fosse ragione di dubitare. E ti mette all’angolo. Tu credevi che la cosa migliore cui potessi pensare fosse salire le montagne, guardare il mondo da una cima, conquistarti la tua meta, sciare la neve intonsa. Pensavi in realtà che anche per lui questo fosse il senso di tutto. Lui che proprio alla montagna ha dedicato la sua vita e il suo lavoro.

E invece ti spiazza, perché ti dice che planare nel vento, come le aquile quando percorrono il cielo, è qualcosa di ancora più grande.

Michele Enzio da Alagna Valsesia è una guida alpina. Un alpinista di alto livello. Un maestro di sci. Uno freerider fuoriclasse. E tutta questa da 44 anni è la sua vita. Potrebbe raccontarti di quando ha scalato l’Everest o sceso le vie più ripide del Rosa, potrebbe parlarti della sua famiglia di guide alpine e della lunga tradizione montanara dei suoi avi, ma quando sale lassù, e ti descrive quel che sente quando lascia il suolo, la sua voce cambia. E si illumina.

Volare è la cosa più bella del mondo. E sai perché? – ti dice -. Perché le montagne viste dall’alto sono ancora più belle. E perché in un solo giorno puoi scalarne più di quante potresti salire in una vita da guida. Semplicemente non esiste nulla di più incredibile”. 

Foto @ Michele Enzio

Un volo lungo trent’anni

Michele ci prova e riprova da almeno trent’anni a volare come le aquile. La prima volta in cui ha messo le mani ai cavi era insieme al cugino Michele Cucchi, il Lungo, sui pendii di Alagna. “Era la fine degli anni Ottanta. Io avevo tredici anni, lui aveva imparato forse il giorno prima. Insieme non eravamo una garanzia. Ma ci abbiamo provato”.

Il Lungo, e con lui tutti gli altri che in quegli anni da pionieri avevano inseguito la strana novità, non avrebbero però tenuto duro. Per loro la vita era altrove, sulle cime e fra i ghiacciai. Ma il piccolo Michele a quei pochi secondi a qualche metro da terra e a quella specie di paracadute introdotto ad Alagna dalla guida Sergio Gabbio, reduce dal folgorante incontro con alcuni parapendisti austriaci, avrebbe continuato a pensare. Sempre e sempre di più. Fino a capire che era lassù che voleva stare davvero.

Non c’è molto da stupirsi, in realtà – spiega lui -. Il volo è sempre stato parte del dna della mia famiglia. Papà ha lavorato a lungo alla Capanna Margherita ed è stato un vero precursore dei lavori in quota con l’elicottero. Con i miei zii, poi, condivideva fin dagli anni Settanta la passione per il deltaplano.Era un vero anticipatore dei tempi e delle mode. Della Federazione volo libero, che oggi conterà almeno 30mila iscritti, aveva la tessera numero 99. Insomma, in casa abbiamo sempre respirato queste cose. E la mia passione è nata e cresciuta lì, quando ero un bambino che sognava davanti ai racconti del suo papà”.

Ovvio dunque che la cosa non potesse esaurirsi così. Con qualche metro di stacco da terra, di nascosto dalle orecchie dei genitori, sotto l’ala non propriamente esperta del cugino. “Ho rotto le scatole tantissimo perché mi facessero provare. E quando è arrivato il momento di crederci, sono rimasto solo. Ho passato cinque o sei anni nelle grazie più inspiegabili del Padre Eterno. Andavo a scuola, quindi facevo tutto in segreto, ma sentivo che non volevo altro”. A quattordici anni, la prima paghetta racimolata con il lavoro in Margherita  cambia le carte in tavola. Rendendo il gioco tremendamente serio. “I miei coetanei desideravano il motorino. Ed era per questo che riempivano il salvadanaio. Io invece volevo il parapendio. E appena quei soldi sono arrivati fra le mie mani, ho saputo subito come usarli. Non avrei mai avuto un Ciao, quindi non avrei mai potuto fare quello che facevano tutti. Ma avevo una vela e potevo volare”.

Un nuovo lavoro in una passione

La storia era dunque iniziata. Una prova dietro l’altra. Un sogno dopo l’altro. “Appena metti mano davvero a queste cose la fiamma si accende sempre di più”, spiega Michele. E non c’è modo di arrestare la corsa. A sedici anni arriva il brevetto di volo poi, pochi anni dopo, il tesserino da conduttore di parapendio in tandem. E la passione inizia a prendere la forma di un mestiere.

Maestro di sci, guida alpina, bipostita: diciamo che l’annata bene o male la tiro fuori”, chiarisce ancora. Ma non è solo questione di stipendi.  Poter condividere con chi non ha mai provato la sensazione del volo ciò che tu vivi da decenni è un’emozione immensa. Non sei lì solo per pilotare. Sei lì per vivere il momento anche tu”. E considerato che le cose col tempo si sono fatte enormemente più comode, rispetto ai lontani anni in cui il parapendio era una faticosa manovra di cavi e bilanciamenti, emozionarsi è qualcosa che viene naturale. Ancor prima di chiedersi cosa si stia facendo davvero.

Le cronache lo hanno sempre ritratto nella sua pura veste alpinistica. Ma Michele Enzio è col parapendio che scrive le pagine più emozionanti del suo rapporto con la montagna. Fino a creare letteralmente un mondo. “Quella dei voli biposto è ormai un’abitudine consolidata – racconta -. E quindi ho scelto di andare oltre. D’estate, ad esempio, propongo la salita alla Capanna Margherita con discesa in parapendio biposto. Sono l’unica guida alpina a fare questa cosa e ogni volta è sempre un’emozione incredibile. Insomma, chi ci prova non resta mai deluso: un volo di questo tipo è qualcosa di talmente sopra le righe che l’adrenalina sovrasta ogni sensazione”.

Foto @ Michele Enzio

D’inverno, poi, le stesse palpitazioni si spostano sulle piste. E finiscono per travolgere anche i  principianti arenati allo spazzaneve.In una ventina di minuti offro le basi per sciare un minimo e poi faccio provare l’ebbrezza di un volo. Andiamo insieme in un punto sulle piste che si presta al decollo, e via. Giù fino a valle. Non serve essere dei fuoriclasse, non serve nulla. Solo la voglia di abbandonarsi alle sensazioni”. E in tantissimi ogni inverno accettano di provare la cosa.

La solitudine delle grandi traversate

Però è nella solitudine che per Michele Enzio il gioco si fa davvero duro. “Sono l’unico nella mia zona a fare certi tipi di volo”, racconta. Si chiama cross country. E il senso è semplicissimo: “Partire da un posto e puntare a una meta mediamente piuttosto lontana”. Non esattamente una sciocchezza, considerato che bisogna tenere in considerazione tantissime cose. Dal meteo all’esperienza sino alle regole di volo.

È qualcosa che ognuno deve gestire a modo suo, perché è un’esperienza realmente intensa. A me ad esempio piace partire da casa e tornare alla base, proprio come un’aquila che spicca il volo dal nido, fa il suo giro e rientra”. E le mete possono essere le più diverse. Ovunque, praticamente. Partendo da Alagna, poi, la scelta è letteralmente imbarazzante. E ovunque è una cima innevata, un susseguirsi di valli e pareti, un viaggio sulle creste e sulle nevi. Dal Cervino al Monte Bianco, sino alla Svizzera e alla Francia. 

A volte capita di “bucare” – spiega ancora Michele Enzio -, ovvero di dover scendere per un qualche motivo a terra e cercare un passaggio a pollice alzato. Succede. E il più delle volte la cosa diventa ancora più divertente, perché è probabile che la persona che ti carica, dopo i tuoi racconti, il weekend successivo verrà a volare con te. Ma in genere non ci si ferma. E si torna a casa dopo ore e ore trascorse nel cielo, magari sei, otto, anche nove”. Dentro alla piccola “canoa” in cui comodamente siede il parapendista, infatti, si può sopportare anche un lungo viaggio. Puoi mangiare, consultare le strumentazioni di bordo, scattare foto e filmare video. Anche far pipì. Resta solo da inventare un modo per espletare le funzioni più “concrete” del fisico umano.

Ma alla fine è una sensazione unica. Ti senti come un rapace: impari a seguire le correnti osservando il comportamento delle rondini, a intercettare i profumi imitando le aquile, ad inseguire il sole percependo il suo calore, a puntare ai colori migliori comprendendone il potenziale termico”. “In tanti anni ho fatto questo migliaia di volte, sempre per lo più da solo – aggiunge la guida di Alagna -. E non sarei mai potuto arrivare dove sono, se non avessi insistito sulla mia preparazione. Nulla va mai lasciato al caso, ogni uscita deve essere rigorosamente programmata, studiata, pianificata a tavolino alla luce degli aggiornamenti meteo più recenti”.

Un modo per dire che non c’è nulla di pericoloso in tutto questo? “Se Dio avesse voluto vederci volare ci avrebbe dotati di ali – conclude Miki -. Quindi sarebbe sbagliato pensare che questa disciplina non comporti rischi. Ma la preparazione, la consapevolezza e la cultura, come in ogni sport estremo e in ogni attività outdoor, consentono di minimizzare l’esposizione ai pericoli”.

Che sia dunque parapendio classico, speed riding, kite surf o para a lunga distanza non conta. Ognuno sceglie la sua strada nella più piena libertà. L’essenziale per arrivare lontano, però, è farlo sempre con la testa. E con il cuore. 

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