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Aria fritta sull’Everest

Simon Parker, scrittore di viaggi del The Telegraph, pubblica un articolo quasi provocatorio dal titolo: “È arrivato il tempo di bandire i turisti occidentali – e il loro ego- dall’Everest?” (per leggere l’articolo, qui).

Snocciola ai suoi lettori i numeri dell’assalto al tetto del mondo e in particolare che 648 persone l’anno scorso hanno scalato l’Everest, senza contare chi ha rinunciato (e altrettanti nelle prossime settimane lo tenteranno), per aggiungersi alle 8306 persone che sul punto più alto della terra sono arrivate dopo la prima salita di Hillary e Tenzing del 1953.

Parker si chiede se dopo 288 morti, tra cui molti cadaveri sparsi sulla montagna, e le diverse tonnellate di rifiuti d’ogni genere che ostinatamente si lasciano in loco sia possibile pensare di fermarsi a riflettere e se l’ego soddisfatto di “bianchi appartenenti alla classe media” sia sufficiente a giustificare lo scempio.

Poche settimane fa Mingma Sherpa di Seven Summits Treks, un gran organizzatore di spedizioni alpinistiche, ha affermato che non ci sono limiti al numero di persone che le agenzie, ormai in buona parte nepalesi, possono portare sull’Everest. E i prezzi al ribasso da 100 mila a 60 mila fino a 20 mila dollari, secondo Migma, non incidono sulla sicurezza individuale, tantomeno sulla qualità del servizio e il rispetto ambientale. Se lo dice lui.

Parker si pone anche la questione che alcuni personaggi famosi spesso offrono l’immagine della loro salita sull’Everest per raccogliere fondi per attività benefiche in Nepal, ma che è anche vero che il livello di sfruttamento dei lavoratori d’alta quota è elevato a fronte di paghe che si aggirano sui 3/5000 dollari a stagione e al fatto che dei 181 morti del versante nepalese buona parte sono sherpa. La certezza è che dietro al poco benessere raggiunto di alcuni ci sia l’arricchimento smodato di altri.

Rinunciare all’Everest è possibile? Secondo Parker è tempo che un buon giornalista che racconta i luoghi più belli e conosciuti della terra, naturali o costruiti dall’uomo, si schieri per sconsigliare queste mete, facendo della rinuncia il vero atto “eroico” rispetto a quel luogo e al dovere di conservare la dignità oltre che la bellezza dell’Everest.

“Aria Sottile” è il titolo del libro che Jon Krakauer scrisse magistralmente raccontando la tragedia che colpi molti alpinisti nel 1996 sull’Everest. Forse oggi ne andrebbe scritto un altro dal titolo “Aria Fritta” a significare non solo le migliaia di fritture stagionalmente preparate al campo base e non solo, ma anche la ripetitività della denuncia sul fatto che le spedizioni commerciali invasive tolgono sempre più dignità alla montagna.  

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