Alpinismo

Eli, la prima donna in vetta al Nanga in inverno, torna in Francia

Non so quanto importi a lei, che usa come marchio delle sue spedizioni “Himalaya Light”, di essere la prima donna in cima al Nanga Parbat in inverno. Forse le importa di più che insieme a Tomek ha realizzato la prima invernale di una nuova via, in stile alpino fin sulla vetta del Nanga, che, con questo stile veramente light, nessuno ha mai salito. Forse molto e probabilmente no.

Due anni fa ci aveva già provato con Tomek, fino a 7800 metri, ma poi dal campo base avevano comunicato che il tempo si sarebbe guastato (poi non fu così vero) e lei e Tomek rinunciarono al loro ultimo tentativo girando le spalle alla vetta, il tempo delle “vacanze” era finito. Aveva lasciato Tomek al campo base da solo e, di corsa, se n’era andata via all’alba. Se solo fossero andati in vetta quella volta…

Sul Nanga ci arrivò invece la spedizione di Alex e Ali, insieme a Simone che si era aggregato a loro dopo aver rinunciato alla Eisendle-Messner, la via sulla quale con Tamara era impegnato. Al “base”, in qui giorni passati ad aspettare la buona occasione avevano scherzato e fatto foto tutti insieme, con Tomek a torso nudo.

Sul volo che da Islamabad la porterà domani a Parigi per curare le ferite, Elisabeth avrà tempo di pensare a Tomek, alla vetta che insieme hanno raggiunto per una via nuova che né Messner, che l’aveva ideata, né altri, hanno mai salito d’estate, tantomeno d’inverno; alla discesa sempre più faticosa e disperata nel buio, fino alle 23,10 quando si è fermata con lui sul ripido pendio, ha tolto dalla tasca della tuta il suo Garmin e ha digitato: “Tomek ha bisogno di soccorso al più presto, ha congelamenti e non riesce a vedere niente, per favore organizza qualcosa con Ali ,  mandami il prima possibile un elicottero”. La quota del GPS segnava 7522m. Una richiesta giustificata dai suoi ricordi di altri interventi con gli elicotteri anche in alta quota, in Pakistan.

Ora ha certamente i piedi e le mani doloranti, il cuore gonfio di tristezza e il cervello carico di immagini e di accadimenti, ma anche di preoccupazione. Nell’era di internet è difficile muoversi, comunicare e sottrarsi alle bufere mediatiche, non sempre benevole e competenti.

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