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Val Venosta: “L’imprudenza altrui mette a rischio le vite dei nostri”

È stato aperto dalla Procura della Repubblica di Bolzano un fascicolo sulla valanga in Val Venosta, che è costata la vita ad una donna tedesca, Petra Theurer di 45 anni, ed a sua figlia di 11 anni, Mia, per stabilire la causa del distacco ed eventuali responsabilità.

Secondo le prime ricostruzioni, la valanga, con un fronte di 100/150 metri, si è staccata sotto il Seekopfl, nel comprensorio di San Valantino/Belpiano, poco lontano dalla stazione intermedia della cabinovia. Il distacco è avvenuto a 2.600 metri di quota ed ha travolto le due più in basso, a 2.100 metri, in una zona piuttosto sicura del pendio, ma dove gli alberi erano oramai terminati. Gli altri sette scialpinisti, tra cui il padre della ragazzina, che erano con loro (facevano parte tutti di uno sci club) sono rimasti illesi riuscendo a liberarsi da soli e con l’aiuto degli altri. Madre e figlia sono stati invece trovate sotto un metro di neve, la mamma sopra, la bimba sotto. Stavano cercando di raggiungere fuoripista la zona del Watles dalla Malga San Valentino.

In base alle prime indiscrezioni potrebbero essere stati gli stessi scialpinisti a provocare il distacco con il loro passaggio.

L’intervento dei soccorritori è stato svolto in condizioni limite, con una situazione meteo proibitiva, tanto da impedire all’elicottero di sollevarsi in volo immediatamente e costringendo gli uomini del soccorso a giungere sul luogo con le pelli e le ciaspole, per non rischiare di provocare ulteriori valanghe con le motoslitte.

Mi hanno parlato di raffiche che superavano abbondantemente i 100 chilometri orari – racconta al quotidiano Alto Adige Giorgio Gajer, Presidente del Soccorso Alpino dell’Alto Adige, che aggiungere: – Inoltre c’era neve fresca non assestata. È stata commessa un’imprudenza evidente. I soccorritori hanno agito con enorme pressione addosso perché i rischi erano enormi. Pure le comunicazioni erano difficilissime. I miei uomini, è bene ricordarlo, sono volontari che si mettono a disposizione per aiutare. A casa hanno famiglia e un lavoro. Eppure rischiano la vita. Insomma: bisogna che chi frequenta la montagna capisca dove sta il limite da non oltrepassare. È doveroso saper rinunciare”.

Chi si mette in movimento in montagna in condizioni proibitive come quelle che hanno provocato la tragedia – conclude Gajer – deve rendersi conto di mettere a rischio altre vite oltre alla loro”.

Le considerazioni lasciano poi spazio ai consigli. Tempestività e attrezzatura specifica sono essenziali, spiega il Presidente del Soccorso Alpino altoatesino sulle pagine del Corriere dell’Alto Adige, ma anche essere in grado di praticare l’autosoccorso. “In caso di seppellimento totale – spiega – la probabilità di sopravvivenza è elevata entro i primi 15 minuti, poi cala con lo scorrere del tempo. I soccorsi arrivano per questo troppo tardi”. ARTVA, pala, sonda. Non si finirà mai di dire che sono strumenti salva vita. È importante poi saper valutare il percorso e la stabilità della neve dei pendii, anche a quelli sovrastanti. “Mantenere una distanza di sicurezza di almeno 10 metri tra ogni escursionista e se si viene travolti da una valanga, mantenere la calma quanto possibile cercando di aprire gli attacchi dell’attrezzatura evitare il pericoloso “effetto ancora”, legarsi lo zaino stretto alla vita, in modo da proteggersi dagli urti e dal freddo e per poter avere l’attrezzatura di soccorso vicino, proteggere le vie aeree”. Infine, mai perdere tempo, il tempo è il nemico più grande. “Nel 58% dei casi non vi è un seppellimento totale, ciò significa che è possibile individuare il proprio compagno e tentare di disseppellirlo, cominciando a spalare a valle per evitare l’”effetto cratere”.

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