Cronaca

Da Polenza: montagne…pericolose?

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Ha ragione da vendere Bertolaso quando afferma che non vuole più perdere uomini per l’incoscienza e l’irresponsabilità altrui. Ha ragione anche chi del Soccorso dice che bisogna rispondere a tutte le chiamate, anche a quelle degli incoscienti che si sono messi nei guai. Ma ha in parte torto chi anche del “Soccorso” obbietta che comunque di fronte chiamata di pronto intervento si deve sempre intervenire, subito.

Certo è più che comprensibile sul piano umano questa presa di posizione, ma non è vero che bisogna sempre partire a qualunque costo e prezzo, anche se è difficilissimo dire no, aspettare condizioni e situazioni meno critiche. Ma deve prevalere  la logica del soccorritore (ancorché volontario e straordinariamente generoso) che valuta con estrema professionalità, freddezza, determinazione e attenzione la situazione, il rischio e i pericoli. Che non si lascia condizionare da pressioni esterne dei famigliari delle vittime. Se il rischio era troppo elevato per due sprovveduti, colpevoli di aver ignorato ogni allerta e di essersi avventurati verso la Val Lasties, risalendo pendii instabili con il livello di rischio 4 su 5, ma lì, che con quelle caratteristiche del terreno era ancor più elevato, lo era di certo anche per i 7 soccorritori, per quanto esperti fossero.

Fare il pompiere, il soccorritore della protezione civile nelle pianure alluvionate o nelle città terremotate o del soccorso alpino è un mestiere duro e pericoloso, ma anche estremamente specializzato. Lo slancio umano generoso e irrefrenabile per portare aiuto e soccorso a persone in difficoltà, aumenta di sicuro il livello di accettazione del rischio da parte del soccorritore, ma mai e poi mai deve diventare accettabile l’infilarsi in situazioni di pericolo oggettivo dove la probabilità di cavarsela è veramente troppo sotto il livello di guardia. Anche se come dice il mio amico Gnaro Mondinelli: “Quando fai una salita non dai mai il 100 per cento, quando fai un soccorso sì”. Forse la misura sta nel non andare oltre. Simone Moro in queste ore si arrabbia molto con la legislazione italiana che impedisce il volo notturno con l’elicottero. E probabilmente ha ragione. Ma se tutto questo è vero, e se l’elicottero era l’unico mezzo abbastanza sicuro di fare una ricognizione, perché non si è aspettato il mattino?

Non so se questa tragedia sia ascrivile a questi ragionamenti indotti dalla sensazione che mi deriva dalla lettura delle cronache, ma so che questa casistica di incidenti e interventi va valutata, profondamente e studiata, deve diventare esperienza. Anche se , bisogna riconoscerlo, il sistema dell’emergenza in Italia, anche sulle montagne, è tra i migliori al mondo.

Da anni mi batto per far passare l’accettazione di un’etica della vita in montagna tra gli alpinisti più bravi e quelli meno, tra i neofiti , ma anche tra coloro che sono chiamati a lavorare e operare in quota. Esemplare ciò che il padre dell’alpinismo Riccardo Cassin , centenario proprio in questo 2009, ci diceva spesso : “il miglior alpinista è quello che torna a casa vivo”.

Altra questione riguarda i due giovani alpinisti che armati di “ciaspole” si sono avventurati verso il proprio suicidio. Assolutamente impossibile  capire cosa sia loro passato per la testa. Un’azione colposa verso se stessi e verso i loro soccorritori quella che hanno messo in atto, scambiandola per una gioiosa ascensione in cerca di cascate di ghiaccio da salire.

Questi comportamenti vanno scoraggiati con la cultura e con campagne d’informazione e poi perseguiti con le leggi attuali e se necessario inasprendo specifiche norme. Nessuno può dire ormai “ non sapevo del pericolo”. Televisione, giornali, internet, enti locali e loro mezzi di comunicazione, ci informano ora per ora, con dovizia di particolari sullo stato di sicurezza della montagna. Chi trasgredisce colpevolmente spesso viene punito troppo duramente dalla montagna e da se stesso, ma se la fa franca, almeno una  punizione dagli uomini dovrebbe assaggiarla.

Come fare per ovviare a tutto questo? Non lo so nello specifico dei singoli casi. So però che se è accettabile e nella vita anche auspicabile prendersi dei rischi perché serve a crescere , so anche che  in alpinismo abbiamo superato il limite  e dobbiamo fare un passo indietro. Troppi incidenti e morti anche tra gente molto brava. C’è una tendenza a mettersi in gioco e mettere in gioco la propria incolumità infilandosi  in situazioni di pericolo incontrollabili. Non è chiaro se per rincorrere eroismi e riconoscimenti personali e  privati o semplicemente per fare i “fenomeni” al bar, per gli sfigati, sulla grande stampa e in TV, per pochi altri. E mi vien persino il sospetto che qualcuno cerchi di fare il “fenomeno” perché gli incidenti danno notorietà.  E’ questo in ogni caso un gioco mortale per se stessi, che abbassa in continuazione il livello di percezione e accettazione generale del pericolo.

Di questo dovremmo continuare a preoccuparci per tentare di invertire la rotta. Se non lo faremo, all’aumento degli incidenti, si sommerà un effetto allarme e allora, come per l’alcol, il rischio sarà quello di indurre il legislatore  e le istituzioni ad adottare norme restrittive e punitive che forse metteranno un freno alle tragedie, ma di certo toglieranno il gusto della libertà a chi frequenta le montagne.

Agostino Da Polenza

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