Alpinismo

Prima assoluta alla Punta “Città di Biella” in Karakorum

La vetta di questa cima di granito, in Pakistan, è stata raggiunta il 21 agosto. Il giorno dopo, Gian Luca Cavalli, e Marcello Sanguineti, entrambi accademici del Cai, ed il più giovane Michele Focchi, sono rientrati al Campo Base dopo più di una settimana di permanenza in quota.

I tre componevano con gli alpinisti Daniele Nardi e Tom Ballard, il documentarista Pierluigi Martini ed i trekkers Cuan Coetzee e Kate Ballard il team della spedizione Trans Limes partita il 25 luglio da Roma ed in rientro in questi giorni.

@Gian Luca Cavalli in Karakorum

Obiettivo della spedizione, supportata tra gli altri dal Cai Biella, era l’esplorazione dell’area del Saltoro Range, un sistema montuoso al confine tra India e Pakistan. Si tratta di un sistema vallivo rimasto inviolato perché sino a poco tempo fa militarizzato.
Se Cavalli, Sanguineti e Focchi si sono concentrati sull’apertura di nuove vie che hanno permesso al trio di raggiungere due vette, Nardi e Ballard hanno tentato di salire la parete Nord-Est del Linksar (7041 m.)

Di seguito la relazione di Cavalli, Sanguineti e Focchi.

Siamo pieni di una gioia incontenibile, oltre che di una sana stanchezza, per l’apertura di due vie su altrettante cime ancora inviolate: una di circa 5000 metri, l’altra che sfiora i 6000. In questo momento l’emozione non lascia molto spazio alle parole, ma ci sforziamo di raccontare qualcosa di più.

Siamo stati i primi ad operare in questa valle glaciale sospesa, che si è rivelata essere un vero e proprio Eldorado di roccia e ghiaccio, alle spalle della valle di Charakusa. A differenza di quest’ultima, nota e frequentata dagli alpinisti ormai da vari anni, il massiccio dove abbiamo concentrato i nostri sforzi – a spese di entusiasmanti esplorazioni e massacranti avvicinamenti – era ancora vergine. Quelle che abbiamo salito sono soltanto due della miriade di vette e pareti che popolano un piccolo paradiso alpinistico. Big wall di granito si alternano a creste di ghiaccio e imponenti seraccate, affilati spigoli rocciosi offrono sfide alpinistiche.

Il 15 agosto risaliamo al deposito di materiale a 4800 metri, che avevamo allestito la settimana precedente superando un dislivello di 1200 metri con 22 kg a testa sulle spalle. Questa volta, per portare ulteriori 80 kg di materiale, ci aiutano alcuni portatori d’alta quota. Durante l‘ultima parte dell’avvicinamento il tempo peggiora. Scavare una piazzola decente nel ghiaccio per allestire il campo alto (in pratica, una tenda da condividere in tre) richiede alcune ore. Finalmente, consumata la tristemente nota cena a base di liofilizzati, verso la mezzanotte ci infiliamo nei sacchi.

L’indomani dormiamo fino a tarda mattinata e il pomeriggio saliamo a 5000 metri circa, individuando il punto in cui attaccare la prima via che abbiamo in mente di aprire.
Il 17 partiamo dal campo alle 10 di sera e iniziamo a scalare la sezione di roccia alla luce delle frontali: numerosi tiri fino al VII grado – che oltre i 5000 meri non è uno scherzo – su un pilastro roccioso che dà acceso al ghiacciaio superiore e alle creste terminali. Scaliamo con un bel peso sulle spalle, visto che gli zaini contengono acqua, viveri, vestiti extra, fittoni da neve, ramponi, scarponi d’alta quota, viti da ghiaccio, ecc ecc. Arrivati sul ghiacciaio superiore, un’imponente seraccata ci costringe a tiri atletici su creste glaciali affilate. Seguono pendii in cui occorre battere traccia in modo estenuante e aggirare linee di crepacci. Con le ultime luci arriviamo alla base della sezione finale, su ghiaccio quasi verticale e, purtroppo, inconsistente. Qui proteggersi è molto complesso e questa parte richiede vari ore di scalata, di nuovo alla luce delle frontali. Verso l’una di notte, dopo circa 27 ore ininterrotte di scalata, sbuchiamo sulla cresta terminale, a circa 5900 meri. È fatta, siamo in vetta! In realtà, è fatta per modo di dire: ci aspettano una notte a quasi 6000 metri di quota, da sopportare senza materiale da bivacco (che non abbiamo portato per essere più leggeri e più veloci) e una lunga e complessa discesa. Con le piccozze scaviamo tre piazzole nel ghiaccio, una sotto l’altra (Gian Luca in alto, Marcello in mezzo, Michele sotto – pure in ordine d’età!) e ci rassegniamo a trascorrere sei o sette ore battendo i denti.

L’indomani mattina verso le otto rimettiamo insieme a fatica i pezzi dei nostri corpi, irrigiditi dal freddo, e cavalchiamo un’ulteriore cresta, questa volta di neve inconsistente (“cavalchiamo” letteralmente, perché l‘unico modo per superarla senza farla crollare è andare a cavallo, con varie centinaia di metri di vuoto a destra e a sinistra), per portarci su una parete rocciosa dalla quale iniziamo la discesa in doppia. Saranno necessarie venti doppie su terreno complesso (accompagnate da 50 metri di risalita con prusik per liberare una corda incastrata sopra uno strapiombo – maledizione!) e 14 ore per effettuare la discesa e ritornare al campo alto. Ne nasce una stupenda via nuova su una vetta vergine. In tenda solita sbobba di cibi liofilizzati, dieci minuti extra di fornello acceso per riscaldare l’ambiente, poi a dormire.

L’indomani mattina, è sottinteso, si riposa! Purtroppo, però, il pomeriggio dobbiamo già metterci all’opera: la finestra di bel tempo ha vita breve e vogliamo sfruttarla per un’altra “prima”. Questa volta, l’obiettivo è una stupenda guglia di granito che si staglia sulla sinistra orografica e supera i 5000 metri. Sarà una scalata su roccia pura, quindi prepariamo gli zaini abbondando con chiodi, nut, friend e “ferraglia” varia.
Il 21 mattina partiamo presto, decisi a chiudere la partita in giornata: portiamo ancora nelle ossa e nella mente i ricordi dell’infame bivacco di un paio di notti prima e non vogliamo farne un altro. Tiro dopo tiro, lo stupendo granito di questa valle sospesa ci regala una via elegante su una guglia esteticissima, con difficoltà fino al 6b+ della scala francese… che a 5000 metri di quota e con la fatica dei giorni precedenti ancora non smaltita non è proprio una passeggiata. Una lunga serie di doppie ci porta sul ghiacciaio e arriviamo alla tenda con le ultime luci. (Sarà questa la punta «Città di Biella»).
Il 22 vorremmo riposare al campo alto, ma non si può: il maltempo è in agguato, quindi siamo costretti ad alzarci presto, preparare gli zaini e iniziare la discesa, che ci porterà al Campo Base dopo circa otto ore trascorse a districarci fra crepacci, seracchi, morene, canaloni, discese di corde fisse, vegetazione fitta e spinosa e ghiacciai fossili. Decisamente esausti, a cena pensiamo di meritare la torta che Ishaq e Hussein, i nostri “master chef” pakistani, ci preparano per cena, con tanto di dedica alle nostre salite!
Resta da recuperare il materiale rimanente al campo alto, dopo un paio di giorni di bufera che dovrebbero arrivare. Poi inizierà il rientro a Skardu e quindi a Islamabad. Rimarrà qualche giorno libero prima del volo di rientro in Italia. Penso proprio che faremo un po’ di… turismo relax!

Dopo il rientro in Italia gli alpinisti sbrigherranno con il Club Alpino Pakistano le pratiche necessarie per poter dare un nome alle vette esplorate e scalate e così si avrà l’ufficialita della cima «Città di Biella». Dedicare il nome di una vetta alla città laniera è un riconoscimento alla sua tradizione alpinistica. Biellesi sono Quintino Sella, fondatore del Club Alpino Italiano, Vittorio Sella, pioniere della fotografia di montagna, l’esploratore padre Alberto Maria De Agostini ed infine Ugo Angelino, componente della spedizione Italia K2.
Cavalli ed i suoi compagni, per raggiungere il Karakorum, hanno fatto tappa nella città pakistana di Skardu. In questa città altri alpinisti biellesi passarono in passato tra cui, oltre ad Angelino, il grande Guido Machetto, l’anticipatore delle spedizioni extraeuropee in stile alpino, e Beppe Re.
A supportare la spedizione di Gian Luca Cavalli oltre al Cai Biella sono stati il Rotary Valle Mosso. Il Lions Biella Valli Biellesi, il Lanificio Botto Giuseppe e Natural Boom Mental Drink.

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