Alpinismo

Tibet: rispediti a casa, chiedono rimborso

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LHASA, Tibet — "La montagna è sacra, tornatevene a casa". Ecco cosa si sono sentiti dire gli alpinisti giapponesi giunti qualche settimana fa in Tibet per scalare il Bugyai Kangri, un seimila che sorge nel Sichuan e per il quale avevano pagato regolare permesso. Loro hanno obbedito, ma ora rivogliono indietro i loro soldi.

Continuano i disagi per gli alpinisti che si addentrano in Cina, in particolare sulle montagne tibetane. L’ultima notizia riguarda la spedizione giapponese della Tohoku University Alpine Club che voleva compiere la prima salita del Bugyai Kangri, 6.328 metri, in Tibet.

Gli alpinisti, guidati da Takao Ohe, avevano ricevuto l’autorizzazione sia del governo cinese che della China Tibet Mountaineering Association, ma una volta sul posto, non hanno potuto nemmeno iniziare la scalata. La polizia della città di Sokxian gli ha infatti impedito di avvicinarsi a quella che localmente è considerata una montagna sacra. Non solo: gli hanno anche vietato di proseguire il trekking olte la cittadina e di scattare fotografie.

Tutto questo è accaduto senza nessun preavviso. La spedizione era già stata organizzata da tempo da un’agenzia di trekking del Sichuan, con tanto di prenotazioni per portatori e lodge nella zona. E gli alpinisti, fino all’arrivo nel villaggio, non avevano avuto alcun problema con le autorità della regione. Poi, però, non hanno potuto far altro che tornare sui propri passi.

La China Tibet Mountaineering Association, una volta messa a conoscenza del problema, ha chiesto scusa ai giapponesi dicendo di non sapere che quella montagna fosse sacra. Loro, però, non ne vogliono sapere di scuse: vogliono essere rimborsati di tutte le spese. E per protestare contro i continui problemi di permessi alpinisti in Tibet, hanno chiesto all’Uiaa di divulgare la loro storia, in modo che altri scalatori siano avvertiti.

Sara Sottocornola

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