Alpinismo

“Campo 3” e “Collo di Bottiglia”: i due killer del K2

Campo tre sul K2, situato a 7.330 m, è sempre stato un luogo critico per le valanghe e la caduta di seracchi. Ne sa qualcosa Kurt Diemberger che nella tragica stagione del 1986 perse la sua collaboratrice e amica Julie Tullis. La storia fu molto più complessa e tragica del come la riporto sinteticamente in questo commento: il crollo di un seracco spazzò via proprio campo 3, vuoto di persone, ma pieno di tutto il materiale delle varie spedizioni, compresa quella austriaca guidata da Willi Bauer, con Alfred Imitzer, Hannes Wieser ed altri tre esuberanti ragazzotti. La mancanza di materiali costrinse i molti alpinisti pretendenti alla vetta a situazioni improvvisate e gestite da accordi improbabili sull’uso delle poche tende e attrezzature rimaste. Il 3 agosto un folto gruppo di alpinisti raggiunse la vetta e in 11 si ritrovarono a sera a bivaccare in condizioni disastrose per la stanchezza e la mancanza di tende. Per assideramento, sfinimento e inedia morirono Julie Tullis, Alan Rouse, Hannes Wieser, Alfred Imitzer e Dobroslawa Miodowicz-Wolf.

Il seracco di campo tre per la verità ha sempre fatto danni collaterali, nel senso che non ha mai colpito direttamente persone, ma piuttosto ha costretto gli alpinisti, che perdevano l’attrezzatura li depositata e spazzata via, ad arrangiarsi alla meglio; questo, come ha dimostrato la tragedia dell’86, era troppo poco per scampare al K2, anche per alpinisti formidabili come Alan Rouse.

Il “collo di bottiglia” invece è quell’imbuto di neve e ghiaccio che sale dalla spalla dritto fin sotto il seracco pensile del ghiacciaio sommitale del K2, alto “un palazzo di 10 piani” hanno lasciato scritto alcuni dei pochi che da lì son transitati. Il luogo della casualità e del destino. Quel nevaio sommitale scivola in basso sotto il peso dell’accumulo della neve e del ghiaccio, inesorabilmente, per legge di gravità, pezzo a pezzo precipita fin giù in fondo alla base del K2. Durante l’anno ci sono diversi distacchi di blocchi di ghiaccio e la probabilità di esserci sotto è scarsa, ma esiste e lo sanno bene gli alpinisti che nel 2008, dopo un’ascesa prolungatasi fin a tardo pomeriggio a causa dell’eccessivo affollamento in discesa, ormai al buio, furono vittime di un disastroso crollo che causò 11 morti e feriti gravi. Tra questi Marco Confortola, che bivaccò all’inizio del traverso, verso il “collo di bottiglia”, e che al mattino scese da quel luogo dell’orrore fino al base; vivo certo, ma subì terribili amputazioni, oggi sanate tanto da consentirgli di tornare sugli 8000. E non commentate per cortesia con le solite fruste battute sul soccorso, sull’abbandono e sui racconti, poco verificabili e attendibili. Confortola la notte se la fece lassù, un po’ più in alto di dove la trascorse Bonatti, dopo esser stato in vetta senza ossigeno supplementare e dentro un dramma e una tragedia durata ore che avrebbe sconvolto molti.

Leggiamo invece in queste ore a cura di Mingma G. Sherpa: “Ci stiamo assicurando che le corde e l’ossigeno siano presenti fino a campo 4”.  Altri presenti al campo base, clienti, annunciano la salita tra pochi giorni. Sarà.

Per il 24 e 25 il vento in vetta è dato a 15 km e dunque la condizione principe per la cima sembra propizia; anche le temperature non saranno troppo rigide, -20° di giorno e -30° di notte, ci sarà solo qualche nuvola pomeridiana e qualche fiocco di neve. Il rischio rimane il fatto di essere in troppi anche questa volta; un’ottantina quelli che aspettano al base e una ventina gli sherpa e i portatori pakistani, con qualcuno certamente troppo lento che frenerà tutti.

Incrociamo le dita.

 

Foto in alto @ Andrzej Bargiel

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