Alpinismo

Everest: la comunicazione alpinistica ai tempi dei social

Il monsone è arrivato decretando la chiusura della stagione alpinistica himalayana, di cui torneremo a parlare in autunno (per lo meno del versante nepalese dato che la Cina, per ragioni di sicurezza, ha rilasciato permessi –pochi – solo per il Cho Oyu).

Tante (per alcuni troppe) le parole che abbiamo dedicato al tetto del mondo, ma del resto l’Everest – che non è altro che una sineddoche delle montagne himalayane in generale – è oramai un fenomeno non solo alpinistico, ma soprattutto mediatico. Ed è proprio a tal proposito che qualcosa ha leggermente differenziato questa stagione dalle altre: la comunicazione.

Siamo tutti concordi sul fatto che sono passati i tempi dei dispacci via telegrafo, ma mai come quest’anno i social hanno avuto un ruolo determinante. Nel 2017 si è visto come ogni alpinista possa dare la propria opinione, in modo incontrollato, sulla propria spedizione o su quelle altrui, generando un’informazione che dice tutto ed il contrario di tutto. Nulla di nuovo sotto il sole himalayano si potrebbe pensare, ma l’immediatezza, l’accessibilità, l’assenza totale di filtro e la dimensione e l’ampliamento del pubblico destinatario di questi mezzi di comunicazione – i social – rende nuovo un fenomeno vecchio.

Da un lato, il risultato di questa iper-comunicazione è stato il fiorire di polemiche di varia natura, con gli alpinisti che si contestavano in diretta social vette, stili di salita o quant’altro; talvolta seduti magari a due tende di distanza, altre senza nemmeno aspettare di essere tornati al campo base. Una singolar tenzone live alla mercé del grande pubblico che assiste con like, cuoricini e faccine arrabbiate decretando in questo modo il vincitore, a volte con cognizione, spesso per semplice simpatia e tifoseria. L’alpinista più forte rischia di essere colui che ha più follower. 

L’altro risvolto della sovraesposizione comunicativa di questa stagione sono state invece le lingue lunghe di taluni, che, sui propri profili o blog, hanno svelato retroscena altrui tenuti taciuti (non solo all’Everest) o dato in pasto a tutti i piani che l’alpinista di turno aveva voluto tenere per il momento nascosti (magari dopo lunghe elucubrazioni con il proprio staff o sponsor). Ed è inutile che gli alpinisti si arrabbino in merito, scalpitando o gridando alla violazione della privacy, perché questa è una tendenza che è destinata ad amplificarsi nel futuro per una semplice ragione: i tempi sono cambiati. Che sia un bene o un male o un mix delle due cose è irrilevante, non si può tornare indietro al 1980 della solitaria sull’Everest di Messner: le montagne himalayane sono sempre più frequentate e tutti hanno un profilo Facebook (chi non ce l’ha, probabilmente è su Instagram, Twitter, Tumblr, Pinterest o ha un blog).

La comunicazione, anche alpinistica, è diventata di tutti.

Quale sarà la soluzione che gli alpinisti più noti – quindi maggiormente esposti – adotteranno per riappropriarsi dell’informazione delle proprie spedizioni è difficile a dirsi, perché quello di chi frequenta le terre alte è un universo a sé. Se pensiamo però ad altri mondi che hanno iniziato a soffrire di questo fenomeno molto prima, ad esempio quello dello spettacolo, notiamo come la reazione sia stata quella della totale trasparenza: non posso evitare che gli altri parlino di me, allora faccio in modo che non abbiano più nulla da dire perché sarò io a mostrare tutto, senza nascondere nulla. Come? Sfruttando a proprio favore i nuovi mezzi di comunicazione, i social. La coppia Ferragni e Fedez docet, con buona pace dei paparazzi.

Sarà questo il futuro anche per l’alpinismo? Qualche indizio in tal senso lo abbiamo, ma staremo a vedere.

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