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Cinema di montagna: sale vuote e festival pieni

Roberto De Martin, Presidente del Trento Film Festival. Photo @ Trento Film Festival

“Il cinema di montagna non è redditizio”, dicono gli investitori. Per questo motivo i protagonisti, le imprese e le storie delle terre alte non vengono raccontate dalle pellicole dei film. Qualche settimana fa la notizia dell’interruzione della realizzazione del film sulla tragedia del Freney del 1961, tratto dal libro di Marco Albino Ferrari “Frêney 1961. Tragedia sul Monte Bianco”.

Il cinema di montagna ha però sempre più successo nei film festival di settore, ma è anche vero che fatica ad inserirsi nella programmazione delle sale cinematografiche e nei palinsesti in televisione. Quando ciò accade l’accoglienza del grande pubblico è spesso tiepida.

Abbiamo chiesto a Roberto De Martin, Presidente del Trento Film Festival, la rassegna cinematografica di montagna più importante e storica, siamo alla 65esima edizione, cosa ne pensa, per cercare di comprendere meglio le ragioni per cui il cinema di montagna non vende

 

Qualche giorno fa la notizia dell’interruzione della realizzazione del film sulla tragedia del Freney del 1961, che coinvolse anche Walter Bonatti. Il produttore ha dichiarato che la ragione di tale interruzione è che per gli investitori il “cinema di montagna non è redditizio”, frenati anche dagli incassi non alti come ci si attendeva del film Everest. È davvero così? Il cinema di montagna non rende economicamente? Eppure il Film Festival di Trento aumenta i suoi spettatori?

Credo di non sbagliare ritenendo che il cinema di montagna, e di conseguenza i contenuti proposti dal festival da oltre 60 anni, rientrano in una categoria di qualità che difficilmente porta a raggiungere i numeri della grande distribuzione se non in rari casi dove conta la storia internazionalmente riconosciuta e raccontata con un linguaggio vicino al popolo da multisala o ancor più l’attore noto (credo La morte sospesa sia uno di questi, o film come 127 ore, Cliffhanger e simili). Non entro nel merito di Everest che non ho visto, ma so che è stato molto criticato per la non corrispondenza ai fatti realmente accaduti. Forse i social, sempre molto preparati a fare le pulci ad ogni novità, hanno sicuramente contribuito a sgonfiare l’aspettativa sul film. Sarebbe interessante sapere se i numeri sono diversi a seconda dei paesi dove è stato presentato. Gli spettatori del Festival sono davvero in crescita continua: negli ultimi anni anche a due cifre, e ciò rappresenta un elemento positivo collegato al fatto che nascono nel mondo anche nuovi festival. Nel 2016 in Romania e Corea del Sud.

Coloro che vanno in montagna e la frequentano in molteplici modi sono tanti, dagli alpinisti professionisti, alle famiglie che scelgono di trascorrervi le proprie vacanze, d’estate sempre di più ed anche in inverno. La montagna è amata e vissuta dalle persone. Non pare quindi una questione di mancanza di interesse. Perché però la montagna non funziona come si vorrebbe sul grande schermo?

Il nostro programma Trento Film Festival 365 dimostra che la tendenza è diversa. Non mi occupo di distribuzione da grandi sale e me ne intendo pochissimo, ma temo gli acquirenti abbiano solo mire da grandi guadagni non rendendosi conto che il pubblico (forse minore rispetto a quello da Cliffhanger) ha fame di contenuti alti e riempirebbe volentieri le sale con le opere che con tanta fatica autori di tutto rispetto ci regalano ogni anno. Negli ultimi anni sono stati sempre più scelti dalla Giuria per i premi film incentrati sui rapporti interpersonali rispetto a quelli per gli exploit in montagna.

Spesso, la critica che viene fatta ai film di montagna che vengono realizzati per il grande pubblico è che questi non siano credibili nella scenografia e spesso nella caratterizzazione dei protagonisti. Mi viene in mente la bocciatura di Messner del film Everest, ma anche le tante voci contro la fiction della rai sulla salita del ‘54 del K2. Quale è il problema secondo Lei? 

Il pubblico è più preparato di quello che si crede e si aspetta prodotti degni e fatti con serietà. Da qui la critica diffusa che è condivisibile.

È possibile fare film di montagna non solo destinati alla nicchia degli appassionati, ma anche al grande pubblico? Cosa suggerirebbe ad un produttore?

Una sceneggiatura accattivante, ma rispettosa della realtà. Storie inconsuete ma ricche d’umanità, con attori (non dimentichiamo che il festival propone per il 99% documentari ancora difficili da proporre nelle sale) che siano credibili nel loro ruolo. La spettacolarità paga ormai poco o non è l’unica strada ad un prodotto di qualità. La montagna dovrebbe passare al grande pubblico non solo come teatro di grandi imprese da superuomini.

Un film di montagna che Le piacerebbe vedere trasmesso in prima serata?

 K2 Touching the sky oppure Meru.

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Un commento

  1. Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sul cinema di montagna (e di natura in generale), io credo che il più grande difetto tutt’ora presente sia la distribuzione dei film al di fuori di sale e teatri. Come mai al giorno d’oggi, con svariate possibilità di fruizione, moltissimi film, docu-film e documentari non si trovano in vendita da nessuna parte nemmeno dopo anni dalla loro uscita?
    Salvo rare eccezioni, molti film sono introvabili sia su supporto fisico che in streaming. Cinema e TV io ormai non li considero più, sono per un pubblico generalista.

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