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Turbolenze Himalayane

Mentre imperversa (?) lo scandalo degli Ufficiali di Collegamento (UdC) fedifraghi e compiacenti nei confronti delle Agenzie Nepalesi e degli alpinisti internazionali e si scopre che alcuni alpinisti son saliti senza autorizzazione su cime minori (ma non troppo, essendo dei 6000m) considerate per di più sacre e inviolabili, vien fuori un’altra polemica.

A quasi 2 mesi da quando più di 150 scalatori sono rientrati a Kathmandu dal bellissimo Manaslu, dopo avere salito fino all’ultimo gli 8163 metri della montagna, dal Dipartimento del Turismo non hanno ricevuto il diploma della vetta. La certificazione ufficiale che lassù ci sono arrivati. Non che questo conti rispetto alla soddisfazione dell’esserci stato per davvero, possedendo per di più la relativa documentazione fotografica, ma come si dice: “il pezzo di carta non conta nulla ma può sempre servire”.  In 3 invece, chissà per quale arcana ragione hanno ricevuto il loro bel foglio di carta di riso con sopra il loro nome, quello della montagna salita, la data e l’ora dell’arrivo in vetta.

I funzionari del Dipartimento del Turismo che dipendono dal Ministero della Cultura, Turismo e dell’Aviazione Civile hanno spiegato di aver interrotto il rilascio dei certificati di vetta per gli scalatori del Manaslu di 17 diverse spedizioni perché la verifica dei documenti che attestano il loro reale arrivo in vetta risulta essere più facile a dirsi che a farsi. E certo a raccontarla son buoni tutti.

In pratica al dipartimento del turismo hanno scoperto che alcuni alpinisti non hanno raggiunto la vetta principale della montagna, nonostante gli Ufficiali di Collegamento, che hanno a responsabilità della certificazione davanti al Dipartimento del Turismo, siano rientrati tutti a Kathmandu e abbiano fatto le loro dichiarazione di attestazione di vetta nei relativi debriefing. Questa pratica certifica, anziché l’effettivo arrivo in vetta di alcuni alpinisti, l’impossibilità degli UdC di sapere quel che accade sopra campo base, in particolare in altissima quota e su montagne che hanno “due” cime a quote poco differenti. Ma una è la vetta, l’altra no. E’ accaduto a molti alpinisti, collezionisti dei 14 ottomila, italiani e non, di grande livello internazionale, di dover ritornare allo Shisha Pangma, il più piccolo degli ottomila, perché erano arrivati da nord dal versante Tibetano sulla cima centrale di 8008m, ma la vetta vera era di pochi metri più alta e   poche decine di metri più in là, lungo una spesso pericolosa cresta di neve.

Ora il Dipartimento del Turismo si chiede a cosa servono i LO ed a che valga pagarli con lo stipendio e con laute (per il Nepal) prebende aggiuntive. Si chiedono anche quanta onestà ed etica ci sia nel mondo alpinistico internazionale, soprattutto se uno come Mingma Sherpa, managing director di Seven Summit Treks, la più importante agenzia che organizza spedizioni commerciali in Himalaya e Karakorum, sostiene per difendere il suo operato e quello degli alpinisti furbetti, che sul Manaslu si è sempre fatto così e che: “sarebbe molto difficile per tanti alpinisti arrivare in vetta nel breve tempo disponibile”. Ma allora in quanti dal 1953 sono arrivati in vetta? Quella vera. Insomma, dove arrivi arrivi, tanto poi il LO ti certifica la cima principale.

Messner pare abbia detto che da qualche anno in Nepal ci si dedica più al turismo che all’alpinismo tradizionale. Una sentenza dura. Resta il fatto che non c’è pace sulle vette himalayane e per i loro salitori, ma nemmeno per i burocrati di Kathmandu.

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