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“La mia RunIceland 2016: una corsa emozionante tra i vulcani dell’Islanda”

di Luigi Pagani (testo e foto)

Sono 6 anni che corro. Inizialmente c’era la voglia di ritrovare la forma fisica, poi ho cominciato a capire che la corsa produce una sensazione di benessere che influenza positivamente l’umore, una specie di antidoto allo stress. Velocemente la strada si è trasformata in sentiero, la pianura in montagna, i tempi al km in spazi aperti, ed ecco che le maratone si sono sublimate in deserti e altopiani andini. Ora amo correre in solitudine e il silenzio è la mia musica preferita.
Per i miei “primi sessant’anni” mi sono regalato un programma “adrenalinico”, e così negli ultimi 12 mesi sono passato dalla Oman Desert Marathon (165K) alla Marathon des Sables (250k) al Grand Trail di Courmayeur (90 k -6000D+) e a settembre eccomi in Islanda. Qua la natura è forte, imponente e minacciosa. Le mie condizioni fisiche non sono al top, il menisco mediale del ginocchio destro  è infiammato, ma non importa, mi dovrò adattare al clima e concentrare sulla postura in modo da limitare i danni collaterali.  

Sabato 3 settembre si parte da Milano MPX destinazione Reykjavik, ci vuole tutta la giornata di domenica per radunare l’intero gruppo della RunIceland 2016 (trail in 5 tappe per un totale di 110 km). Ci sono i top runners come il messicano Riccardo Mejia Hernandez e l’americano Jason Schlarb, e altre 52 persone provenienti da tutto il mondo. Il lunedì l’abbiamo trascorso tra cascate e gayser , circondati da terre odoranti di pecore e montoni fino ad impattare nella grande spaccatura di roccia che divide la faglia euroasiatica da quella
Martedì, prima tappa di 21K: scendiamo dal bus e l’organizzazione controlla il materiale obbligatorio, poi pronti-via su strade sterrate in un continuo sali-scendi. Il grande problema è il vento contrario, cerchi di incunearti, di essere aerodinamico, ma lui è li e non ti molla mai, finisci stremato.

 



Per la seconda tappa ci portano alla base del grande ghiacciaio Vatnajokull – 17K (750 D+). L’immensità dei ghiacci ti mette in soggezione; ma man mano che si sale, la concentrazione si sposta sul sentiero e non molli finché non inizia la discesa. Lo sforzo fisico diminuisce, ma il mio ginocchio destro è messo a dura prova per almeno 30 minuti, fino a quando ritrovo la giusta postura. Nella parte finale il percorso si affolla di gente e tu devi destreggiarti per non urtarla, corri tra applausi e imprecazioni sino all’arrivo.

Eccoci alla terza tappa e, per non farci mancare nulla, ecco il vero clima islandese: vento a raffiche, nubifragi con nevischio e freddo pungente. Il tempo è una vera incognita, e gli organizzatori decideranno all’ultimo sia il percorso sia la distanza. Arrivati sul posto, la gara viene ridotta a 8K , l’oceano è cosi forte che la parte di corsa sulla spiaggia nera viene tagliata. Scendi dal bus e si parte, vento, fango e acqua rendono l’ascesa al faro molto faticosa e gli 8k, che normalmente non consideri nemmeno un allenamento, si trasformano in una corsa epica. Il bus dopo la corsa si trasforma in un angusto spogliatoio, e ritrovare i tuoi indumenti asciutti o bagnati diventa un’impresa. Alla sera, dopo una bella doccia calda, si fa il pieno di carboidrati in attesa della maratona.

Quarta tappa, la Maratona: stiamo in bus per circa 2,5 h per arrivare nella bellissima vallata di Domadalur, sarà un percorso su strade sterrate e su sabbia lavica sino alla cima di un vulcano. A prescindere da dove sei, la maratona è sempre affascinante, devi metterci gambe, testa e cuore per poterla esorcizzare.
Il tempo cambia continuamente ma ora siamo abituati, io dopo 10k mi ritrovo in piena solitudine, ormai ho dimenticato il ginocchio che pulsa e il tempo scorre tra pensieri positivi di vecchi ricordi e ritornelli di canzoni stupide perduto in un paesaggio da favola . Al 30k , dopo una ripida salita, mi ritrovo sul lato destro di un vulcano spento con il cratere diventato lago, i colori spaziano dai rossi bruciati agli ocra intensi, vorresti fermare il tempo ma non puoi. Comincia la discesa, il freddo non ti fa sentire più le mani, ma l’arrivo è ormai dietro l’angolo. Arrivi, il sorriso ti riempie il viso e cominci ad abbracciare tutti come un bambino. Gli organizzatori ti indicano un laghetto di acqua fumante a 100 mt, non ci pensi due volte , ti cambi e ti butti dentro per un bagno ristoratore, come per incanto qualcuno ti passa una birra ghiacciata… una vera libidine.

Quinta tappa – 18K , finalmente si corre senza grandi spostamenti. Il percorso è piano e non fa freddo, non mi sembra vero. Psicologicamente la gara è solo una formalità, la stanchezza è sparita e ci sentiamo tutti degli Highlander… poi medaglia, bisboccia e rientro a Milano.
GRAZIE ISLANDA!

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