Sport estremi

Base Jumping: la “proximity” è il killer?

Altus è la rivista “patinata” che viene distribuita in tutti gli esercizi commerciali e luoghi pubblici di Chamonix. I cugini francesi ne vanno giustamente orgogliosi. Altus fa tendenza, riconoscimento, status. Tutti coloro che per un qualsiasi motivo passano dalla “capitale mondiale dell’alpinismo” per qualche giorno, per assistere al fenomeno della folla attorno all’Ultra Trail, di cui vi abbiamo raccontato in questi giorni, o anche solo per una birra o un caffè (quello buono è quasi introvabile), si trovano in mano Altus, numero monografico 2016: in copertina un base jumper che spicca il volo dall’Aiguille du Midi.

E fin qui tutto bene. All’interno del magazine c’è più di un servizio sulla passione degli emuli di Icaro, che pare coinvolga oltre 300 adepti in Francia (in Italia sembra siano una ottantina); il cuore del messaggio è riassunto nel titolo: “Chamonix nouveau Camp de BASE”. Non una candidatura, ma l’affermazione che Chamonix è non solo la capitale mondiale dell’alpinismo, ma anche del B.A.S.E (building, antenna, span and earth) jumping. Un riconoscimento formidabile e ufficiale. Altro che il Brento dove Uli Emanuele si lanciava e dove s’è installata una vera e propria “scuola” di base jamping.

Patrick de Gayardon era un antesignano “no limits” che fece storia pubblicizzando un marchio di orologi dedicati all’avventura, ma anche buttandosi proprio dal Brento per primo con una “tuta alare” fatta in casa, riuscendo per primo a volare fino all’apertura del suo paracadute. L’anno successivo morì lanciandosi da un aereo alle Hawaii.

Uli Emanuele, Alexander Polli e Armin Schmieder la morte l’anno invece trovata a cavallo di questo ferragosto, nell’arco di nove giorni. Tutti e tre bravi, appassionati, tecnicamente preparati ed entusiasti. Perfino saggi, per quel che dicevano e raccontavano della loro passione per questo che nessuno definisce, ancora, uno sport.

Uli Emanuele, poco tempo fa, aveva rilasciato una bella intervista a Federica Seneghini del Corriere della Sera, dove affermava che in Italia i jumpers sono una ottantina, ma solo la metà pratica con assiduità e un’altra metà non lo farebbe se non avesse una videocamera con cui riprendersi e riprendere il proprio volo. Lui ne portava quattro di videocamere.  Ma nello stesso articolo si informa che sono 275 i morti dal 1981, più della metà in questi ultimi 7 anni. Una catastrofe statistica che non pare voglia migliorare.

Vittorio Guarinelli è un paracadutista espertissimo, uno che ha partecipato a competizioni internazionali e vinto campionati mondiali e che ora fa anche l’istruttore per squadre nazionali. Anche per lui l’elemento aria, che conosce alla perfezione, è fondamentale, come la quota di passione per il volo. È un amico e gli abbiamo fatto un paio di domande anche rispetto alle perplessità espresse da alcuni nostri lettori. “No, la tuta alare ormai ha un’ottima struttura ed escludo che ci siano delle criticità in questo senso”. Vittorio è perentorio ed elimina immediatamente il dubbio. “Di per sé buttarsi da una montagna, come dal Brento, non è particolarmente rischioso, ma è la scelta della “proximity”, dell’essere sempre più vicini al terreno, alle rocce, dello schivare ostacoli o infilarsi in buchi nella roccia che aumenta sempre più il rischio – ed aggiunge – Sono loro che osano, non c’è un regolamento, se lo vieti loro ci vanno lo stesso; in certe parti del mondo ti arrestano. In Italia non è vietato. Questo è quanto è accaduto ed è la conseguenza estrema della “proximity” a 200 all’ora”.

Gli abbiamo chiesto quanto sia manovrabile la tuta alare. “È molto manovrabile, riescono a fare spostamenti repentini di 45 gradi, basta un movimento di apertura verso l’esterno e si spostano immediatamente. Per esempio se tu stai costeggiando una montagna e vedi che davanti a te hai un ostacolo e vuoi andare via, in un secondo sei già a 50 metri. Il problema è che loro fanno il contrario, stanno continuamente a filo o andando su e giù come quando i caccia fanno volo radente e si prendono dei grandi rischi”.

Anche Alexander Polli era un ragazzo “saggio”, eppure ha toccato un pino sotto la cima del Brevent a Chamonix, dove si arriva in funivia e da dove si era lanciato dopo il rituale: “One ,two, three, base jump”.

L’elicottero dei soccorsi l’ha raggiunto in pochi minuti, altri uomini che volano l’hanno trovato in vita e cosciente, per quei pochi minuti necessari a guardare il cielo e sperare forse di essere tra i pochissimi a cavarsela.

Tra le avvertenze sul sito della Brento BASE School la seguente è mediamente tra le meno inquietanti.

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3 Commenti

  1. Situazione limite nello spazio o nel tempo ..cosa significa? Dipende dall’attività.Un metro in qua e sei salvo , uno in là e muori…un decimetro in qua sei vivo , uno in là e muori..un minuto prima sei vivo , uno dopo e muori, un secondo…idem..un decimo di secondo idem…
    Se qualcuno arriva alla sicurezza al secondo, un altro vorrà conquistarla al decimo…ma poi il nostro corpo e’ capace di valutare o procede a scatti? Nel film a pellicola..i fotogrammi sono scattati a decimi di secondo, ma il nostro occhio percepisce continuità e fluidità.

  2. Alla domanda se la proximity sarebbe il killer si potrebbe rispondere “No è la stupidity” :con i paroloni in inglese non si nobilita lo stesso questa attività estremamente pericolosa e non chiamatela sport quando assomiglia sempre più alla roulette russa.

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