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Perché il K2 non diventerà come l’Everest? Ma ci provano

ISLAMABAD, Pakistan – Sono 122 i permessi rilasciati per il K2 per quest’estate, stando almeno alle liste ufficiali pubblicate.

Alan Arnette, il 18° e il più vecchio americano che il 27 luglio del 2014 è salito in vetta al K2, è giustamente orgoglioso di questo suo risultato. Lo è anche degli altri 6 ottomila che ha salito e della “lotta” senza risparmio di energie all’Alzheimer, di cui si è fatto portabandiera in alta quota. Si trova tutto, abbondantemente sul suo sito.

Agostino Da Polenza sul K2 nel 1983.

Arnette oltre che un ottimo alpinista, è un attento commentatore e giornalista e sin’infila dritto dritto nella discussione riguardo la questione del se il K2 è il nuovo Everest o come avevo scritto su queste pagine “Everest e K2 montagne domate?”.

Ci dice, giocando con i numeri, che il K2 nella stagione di massimo numero di ascensioni è stato salito da 50 persone, l’Everest da 500. Ma l’interpretazione dei numeri riserva sempre delle sorprese. Ad esempio quest’anno, stagione turisticamente proficua per l’Everest, 199 sono gli stranieri in vetta, da 29 paesi diversi, mentre 258 sono i nepalesi. Pare solo uno sia arrivato in vetta senza ossigeno, un alpinista iraniano. Questi i dati diffusi dal Dipartimento del turismo nepalese.

Arnette ci dice che la salita dell’Everest è per così dire “tecnicamente elementare”, non banale, considerate le vittime che procura, ma una salita dove conta la volontà, mentre quella del K2 è “completamente diversa”, poiché è una montagna sempre ripida ed alpinisticamente difficile. Ne fa un elogio che dimostra come le performance tecniche, le qualità di arrampicata su roccia e ghiaccio in salita, ma anche in discesa, la poca affidabilità delle corde fisse fanno di questa una “montagna arcigna”, in ogni caso difficile, repellente al turismo. Come tutte le grandi e ancor più difficili montagne e pareti riservate, per così dire, agli “olimpionici” dell’alpinismo (diciamolo visto che siamo nell’anno olimpico e che il grande Simone Moro ha più volte evocato quest’immagine parlando dell’invernale al Nanga Parbat).

Arnette ne trae una conclusione: “Questi sono alcuni motivi per cui K2 non potrà mai diventare l’Everest, ma ho imparato a non dire mai in questo sport!”. Lo statunitense prende in esame alcune questioni vere e cruciali, che però danno il segno della sua attitudine alle spedizioni commerciali. Ad esempio che i servizi trekking, turistici e di supporto in alta quota forniti dai pakistani e dai portatori d’alta quota del Pakistan non sono minimamente all’altezza di quelli forniti in Nepal o Tibet. Vero e per fortuna questo impedisce a molti “superturisti” d’alta quota di auto-esporsi a queste privazioni di comodità. Ma se certamente va sviluppata una professionalità del personale pakistano, per garantire un lavoro a casa loro, ho seri dubbi che questo accada per osmosi naturale: i nepalesi usano i pakistani al massimo in cucina, anche se di solito al campo base del K2 si portano anche i cuochi dal Nepal per i loro clienti. Eppure alpinisti pakistani bravi ce ne sono. Dovrebbe saperlo Arnette che nel 2014 proprio al K2 li conobbe e credo apprezzò mentre attrezzavano per primi e sulla cui vetta dove arrivarono insieme ai colleghi nepalesi. Loro, i pakistani, senza ossigeno, mentre i nepalesi e i loro clienti l’ossigeno lo usarono in abbondanza.

Alan Arnette sul K2.

Altre questioni che differenziano l’Everest dal k2 riguardano poi: il meteo al K2 è più severo e ci sono statisticamente meno giornate/finestre per la vetta. Vero. Un tasso di mortalità più elevato tra gli alpinisti: anche questo è purtroppo vero. L’uso di mezzi di soccorso come gli elicotteri è difficile e costassimo, molto più che in Nepal. Il trekking fino al campo base scoraggia molti all’affrontarlo. Questa considerazione devo dire mi lascia qualche dubbio: se uno pensa di poter salire il K2, credo sia in grado di pensare anche a 7/8 giorni di trekking su terreno desertico d’alta quota e morena. Ma se ne vedono di tutti i colori.

Infine Arnette ci illumina con una perla saggezza che giustifica l’attrazione fatale del K2: “Con la vetta dell’Everest ci si vanta. Con la vetta del K2 si guadagna il rispetto”. Ma la verità è che le spedizioni commerciali sono in atto e quel che io sostengo e che non ci sarà più rispetto per nessuno se non si rispetta la montagna che si sale.

Fin dal 2000 diverse società organizzano spedizioni commerciali, tra i primi Kari Kobler, negli ultimi anni la nepalese Seven Summits Treks, che attira al K2 ben 30 scalatori ogni stagione. Himalayan Experience e Madison organizzano la formula Everest e K2. Fino a pochi anni fa l’ossigeno al K2 era poco utilizzato, ora le spedizioni commerciali lo hanno introdotto al pari dell’Everest. Al base poi ormai internet, i telefoni, le previsioni meteo hanno una presenza importante.

Ma torniamo alla questione.

Quest’anno ci sono 122 permessi rilasciati, i pakistani non necessitano ovviamente di permesso e non sappiamo quanti saranno. E non c’è dubbio che K2 viene trattato dalle spedizioni commerciali allo stesso modo dell’Everest, vale a dire: portiamoci li massimo dei clienti. Certo il K2 è strutturalmente, climaticamente, alpinisticamente diverso dall’Everest, tutti coloro che se ne occupano o se ne interessano lo sanno o lo intuiscono. E questo lo rende molto meno aggredibile.

Il tema ulteriore è cosa accadrà lungo lo sperone Abruzzi? Nei ristretti luoghi dove è possibile posizionare i campi, dove ci stanno al massimo 6 o 7 tende. È questo fino alla spalla che ai i suoi 7400 metri presenta un luogo ampio per mettere tende. Quali saranno i livelli di potenziale conflittualità?  Da lì in poi fino in vetta meglio lasciar perdere con le previsioni e “sperare nella clemenza della montagna” e nella capacità degli alpinisti-clienti delle agenzie di essere autonomi.

Buon K2 a tutti.

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