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Everest e K2 montagne domate?

La questione del “K2 aggredito”, al pari dell’Everest, dalle spedizioni commerciali sta emergendo ed è condivisa dai principali siti che si occupano di montagne e ci fa piacere registrare questa rinnovata sensibilità dopo il nostro articolo di fine maggio, che vogliamo  riproporre.

La celebrazione Everest è stata un’occasione importante per la promozione del turismo di montagna del Nepal, dopo il devastante terremoto e il blocco economico, gli organizzatori della manifestazione hanno tutti condiviso questo messaggio. Viva l’Everest, viva gli sherpa, viva i 400 in vetta. Che dobbiamo dire d’altro? Chi prenoterà per l’anno prossimo lo faccia con questa consapevolezza e con buon senso. Ma ormai il mondo pare aver accettato che l’Everest sia una montagna dedicata al turismo estremo e da quest’anno anche il K2 è entrato nel Circo Barnum dell’alpinismo. Un giorno avremo forse le corde fisse sul Pilone Centrale al Bianco, sulla Cassin al Badile e la Comici alla Grande di Lavaredo. E se qualcuno se ne lamenterà, qualcun altro ricorderà loro che se per l’Everest (Dea Madre, mica cotica) nessuno ha detto nulla, perché qualcuno dovrebbe dire qualcosa per il Monte Bianco e le Tre Cime?

Se però pensiamo che tutto questo lasci i valori fondanti ed etici dell’alpinismo che conosciamo e amiamo intatti, dobbiamo sapere d’essere degli illusi, degli sciocchi. Dopo tutto questo e la definitiva profanazione del K2, nulla sarà come prima.

C’è attenzione al tema, anche qualche reazione, ciò nonostante non smetteremo di dire che le spedizioni commerciali sono un grande problema per le montagne e le popolazioni locali.

È paradossale peraltro rifugiarsi nell’unica speranza che il K2 continui a ribellarsi con forza all’essere “domato” dall’uomo in modo spregiudicato e rapace.

Nel 2014 un sondaggio di Explorerweb, tra più di 5000 persone che rappresentano sicuramente un target competente, alla domanda se il K2 doveva ritenersi “domato” rispondeva con un no al 75%.  Certo che il k2 non era e non è domato.  Di fatto nemmeno l’Everest che di tanto in tanto si scrolla di dosso gli aguzzini della sua dignità di montagna più alta della terra.  Lo ha fatto anche il K2, nel nostro immaginario a difesa dell’essere la montagna simbolo della bellezza, dell’eleganza del sogno estetico del ghiaccio e della roccia.

Sono più di 120 i permessi di salita rilasciati quest’anno per il K2 e al campo base arriveranno più di 300 persone. Ci saranno gli sherpa nepalesi con i loro clienti e le spedizioni occidentali che hanno importato gli sherpa dal Nepal per i loro di clienti, perché li reputano più affidabili e professionali.  Come dice Ali Sadpara, bravissimo alpinista pakistano che ha salito il suo Nanga Parbat quest’inverno e poi se n’è andato al Makalu: “i nepalesi stanno monopolizzando anche in Pakistan il business delle spedizioni”. Ai pachistani rimane ben poco.

Ora le domande che sorgono possono essere molte, mi limito ad abbozzarne qualcuna.

  1. È accettabile lo svilimento del valore alpinistico, etico, storico e naturalistico delle grandi montagne aggredite in modo incontrollato e disinvolto dal turismo d’alta quota?
  2. È giusto giocarsi il futuro a lungo termine delle popolazioni che vivono attorno alle grandi montagne con attività la cui miopia pare evidente? Non sarebbe più corretto tentare di gestire i flussi alpinistici e turistici compatibilmente con la sostenibilità dei territori e in considerazione anche degli impatti culturali?
  3. Non sarebbe giusto che le grandi organizzazioni alpinistiche, l’UIAA, i Club Alpini Nazionali, le associazioni e gli stakeholder, ma anche i grandi movimenti e sistemi mediatici, che si ispirano alla protezione della natura, prendessero posizione? Ci sono modelli di sviluppo consolidati nella gestione delle aree montane ad alta attrattiva turistica. Ci sono modelli integrati di sviluppo economico e di attenzione e preservazione ambientale dentro i “management plan” dei grandi Parchi Montani: in nord America ad esempio il Denali National Park Alaska, in Nepal il Sagarmatha National Park, in Pakistan con la costituzione del recente Central Karakorum National Park. Possibile che la potenza delle agenzie turistiche riesca talvolta a corrompere il desiderio e la necessità di preservare anche le altissime quote dai fenomeni degenerativi del turismo? Tutelando magari anche i lavoratori e le popolazioni locali?

So che sto trattando di cose complesse partendo dallo spunto di una stagione che al K2 si spera positiva e fruttifera, so che le complessità e le contraddizioni sono in agguato non solo sulla montagna, ma anche tutt’attorno a chi gestisce questi fenomeni turistici e alpinistici. Ma credo che chi pensa di salire il K2 o l’Everest abbia la passione, il desiderio e anche il dovere di sapere quel che accade attorno a lui e all’ambiente dentro il quale si muove.

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3 Commenti

  1. Buongiorno,
    a volte non capisco questo tipo di considerazioni, né men che meno le condivido.
    Va sicuramente rivisito, regolamentato o comunque monitorato l’impatto ambientale di certe attività (penso ad esempio alle tonnellate di rifiuti e di attrezzature vecchie abbandonate sulle montagne), che a mio avviso è uno degli aspetti più importanti di questa faccenda; ma non vedo perché si debba voler in qualche modo limitare le già poche possibilità di emanciparsi dalla povertà che hanno le popolazioni di certe zone.
    Perché prendersela con chi organizza e, in qualche maniera, anche se più o meno velatamente, con chi partecipa alle spedizioni commerciali?
    Certo, tutto questo non ha nulla a che vedere con l’etica e i valori dell’Alpinismo con la A maiuscola.
    Il problema, da un punto di vista alpinistico, sta semmai nel come vengono poi ri-vendute le presunte “conquiste” dalle varie spedizioni e dai vari clienti: non c’è un vero risultato “sportivo”, non c’è esplorazione, non c’è nulla di tutto ciò. È solo un mero esercizio fisico e mentale, al pari di ogni altra seduta di allenamento.
    Per noi è facile parlare di turismo slow-eno-gastronomico-culturale e tutte queste belle cose. Ma ci siamo arrivati dopo anni e anni….
    Regolamentazione, responsabilità (soprattutto sociale) e buon senso sono davvero necessari, ma voler anche solo in parte limitare certe possibilità di sviluppo mi pare da veri egoisti, della serie: io sono un purista, un vero Alpinista, e quindi voi a svilire le mie conquiste passate non ci andate più.
    Sarebbe come dire che, dopo Cristoforo Colombo (lui sì un vero esploratore!), se uno volesse andare verso le Americhe ci dovrebbe andare con una caravella.
    Mi pare che il problema stia altrove.

    Distinti saluti

  2. Pochi anni fa i padroni delle montagne decretavano che il sesto grado era impossibile. Oggi le ragazzine ci si divertono.
    Sul Klein Matterhorn si arriva da anni in funivia poi, dopo la sosta al bar dell’albergo, si prende l’ascensore per la vetta, con uscita sulla terrazza ringhierata (con crocione).
    Sull’Eiger si arriva da un secolo in treno, con tappa a metà, per guardare da un balcone (con ringhiera) la Nord.
    Sotto il Gottardo hanno aperto giorni fa una galleria di sessanta chilometri.
    Cioè: le cose cambiano; ci vuole prudenza a parlare. E’ questione di mezzi tecnici e costi. Sarebbe così impossibile, che sotto l’Everest, tra meno di cent’anni, salisse un treno pressurizzato, con tappa a metà per dare un’occhiata a Rombuk, come sotto l’Eiger oggi?
    Che senso avrebbe, allora come oggi (v. sopra), l’etica dell’alpinismo puro?

    1. Si certo, considerazioni del tutto accettabili su cui riflettere. Ma nel nome dello sviluppo si sono realizzate talmente tante brutture e fatti tanti danni che forse parlarne val la pena. Non è solo questione di mezzi tecnici e costi , anche di scelte. Come condivisibile l’osservazione di Bacco riguardo il diritto allo sviluppo e al benessere delle popolazioni locali montane che però non è incompatibile con la salvaguardia della natura e del patrimonio culturale compreso il loro valore simbolico.

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