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Skialp e doping: lettera aperta di Brosse

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PARIGI, Francia — "Sapere del doping di Patrick è stato uno choc. Ma mi dispiace soprattutto per una bella disciplina come lo scialpinismo, che di sicuro non si merita uno scandalo. Bisogna lottare per aiutare queste persone a dire la verità, e fare in modo che questo resti un caso isolato". Sono le parole dello scialpinista francese Stephane Brosse, che di recente ha voluto commentare lo scandalo doping che ha travolto il suo compagno di squadra Patrick Blanc.

"Ho iniziato a fare scialpinismo a 18 anni – scrive Brosse, che ha affidato il suo sfogo alle pagine della rivista Montagnes Magazine di novembre -. E ne sono rimasto affascinato. Ho amato soprattutto il modo in cui la montagna ti insegna ad essere autonomo, per esempio scegliendo il tuo percorso. Per dodici anni, poi, sono rimasto nel mondo agonistico che mi ha permesso di migliorare tecnicamente e fisicamente. Per fortuna, questo sport, resta comunque un ambiente poco più che amatoriale: questo mi ha impedito di arrivare all’egocentrismo degli alti livelli".
 
"Purtroppo, però, il doping esiste – continua l’atleta – e bisogna combatterlo. Penso sia naturale che aumentino i controlli anche nello scialpinismo. Ma sono fiducioso che questo sport possa risolvere il problema e resto convinto, soprattutto, che si possa correre ai massimi livelli senza barare".
 
"Sapere di Patrick è stato uno choc psicologico per tutti – prosegue Brosse -. Ma anche se oggi una persona è colpevole, bisogna tener presente che lo sport è un gioco e non trattare il nostro ex compagno come un criminale. Bisogna piuttosto aiutare queste persone a dire la verità, per consentire a tutti noi di evolvere e di imparare da questa storia".
 
Ma perché Blanc è arrivato a questo punto? "Tutti possiamo ipotizzare le ragioni – dice Brosse -. Esigenza di affermazione, depressione dopo una brutta stagione, troppa pressione, carriera che volge al tramonto… solo lui può dire cosa è stato a spingerlo a tanto. E forse ancora non basterebbe per comprendere. La prima cosa da fare è invece preoccuparsi di garantire che il suo caso rimanga isolato. Esorto tutti gli atleti a confrontarsi in trasparenza. La sua colpa deve essere riconosciuta e la pena è necessaria, ma non bisogna andare oltre, si rischia di distruggere tutto lo sport per un singolo caso".
 
"Le gare sono un modo di vivere la montagna – conclude lo scialpinista – sono un gioco per far progredire tecnicamente e fisicamente, e come tali vanno vissute. La lotta per preservare lo sport pulito va fatta soprattutto per i giovani. Penso che le vittorie in gara o le vette raggiunte siano soprattutto emozioni personali, che ovviamente sono più belle e danno più soddisfazione se raggiunte in modo corretto".
 
Sara Sottocornola

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