AlpinismoAlta quota

Tamara con Simone, Ali e Alex. Sul Nanga Parbat

“Ero così vicina alla cima, che mi sentivo come se fossi su di essa…Ero triste, ma solo per 5 minuti. In ogni caso la persona ha l’istinto di sopravvivenza…” Tamara Lunger si racconta alla rivista sportiva polacca RMF 24.

È interessante come le sue affermazioni corrispondano al personaggio umano, perché Tamara fatica ad entrare nel ruolo pubblico e da jet set alpinistico. Paradossalmente l’essersi fermata a 70 metri dalla vetta le consente ora di non apparire e questa è una consolazione (magra?) per quei 70 metri non saliti, mentre lassù nel vento della cima c’erano Alex Txikon, Ali Sadpara ed il suo compagno di spedizione Simone Moro.

Lei, che ha vinto con slancio e brillantemente il K2 e che ha salito il Lhotse, porta ora nel sorriso l’ombra triste della rinuncia al Nanga, un’ombra che dura però solo 5 minuti.

“Quando sono tornata a casa da un lato ero molto felice, ma dall’altro ho passato la prima notte nel mio letto a piangere perché volevo essere di nuovo lassù”.

C’è coscienza delle proprie capacità, della spedizione lunga e difficile, dei cambiamenti di itinerario e dell’arrivo in vetta dei compagni.

È una donna che crede fermamente in Dio, che lo ha pregato in particolare nel giorno della vetta: gli ha chiesto di fermare il vento “perché non so se riesco a salire fino alla cima se ci sarà questo vento per tutto il tempo”, ma anche l’umiltà di accettare ciò che accade come un dono, la fede è una grande consolazione.

Una Tamara cosciente di essersi preparata al meglio, insieme a Simone, sciando, correndo ed arrampicando.

E poi sulla via Messner, senza mai dormire sopra campo due, posto a 6100 metri, mentre Tomek e Elisabeth, loro compagni d’itinerario, invece se ne stavano per una settimana e più sulla montagna, per provare a portarsi in alto. Simone e Tamara no! Rapide puntate e rientro al campo base.

Poi la scelta di lasciare la via Messner. Tamara spiega che era pericolosa, ma la verità sta nella rinuncia di Tomek e Elisabeth, nella maturata consapevolezza che da lì non sarebbero andati in cima: via troppo esposta in alto, troppo lunga, troppo tutto. Niente da fare!

Alla domanda se la chiave del successo sia stata la decisione per loro di unire le forze con Alex e Ali, candidamente risponde che di sicuro questo è stato molto importante. Ha ancora un lontano dubbio che forse ce l’avrebbero fatta dalla Messner, ma un seracco pericoloso…

Tutto poi è andato alla perfezione per finire in gloria e completa armonia. Benedetta donna dal grande sorriso, dalla grande fede e dalla infinita innocenza.

“Per me è impossibile scalare, fare una cosa così importante se non ho la testa “pulita” se non sono completamente in pace. […] Quando Daniele scomparve (dal base ndr), tutto ha funzionato alla perfezione […] Eravamo felici, ci amavamo e rispettavamo l’un l’altro”

Ma che è accaduto realmente tra Daniele e Alex? Incalza il curioso giornalista.

“Alex all’inizio ci ha invitato a passare sulla loro via, a unire le forze per avere maggiore possibilità di successo, ma noi volevamo salire la Messner, poi alla fine il seracco pericoloso ci ha indotto a passare sulla Khinshofer con Alex. Lui era il capo di questa spedizione, anche se Daniele ha sempre detto che erano al 50%, che non c’era un leader”.

Poi, dice Tamara, Simone ed Alex si sono messi d’accordo sul permesso di usare le corde: Simone ha offerto soldi, ma Alex ha rifiutato perché erano amici.”

Ma Tamara va oltre, crede che quello economico non fosse un problema ed azzarda: “Daniele quest’anno non era mentalmente pronto per salire. Mi ha anche detto: – Tamara, quest’anno non ho una motivazione sufficiente ed ho costantemente paura che la corda molli. È diverso che gli anni precedenti – Non era in forma”.

E termina: “Daniele voleva distruggere questa squadra. Una volta che abbiamo deciso di salire insieme sono successe un mucchio di cose strane. Simone ha detto che non voleva salire con Daniele, perché non si fidava. Ci siamo allora divisi loro tre da una parte e noi due dall’altra, ma alla fine Alex e Ali hanno deciso di salire con noi, perché il loro unico problema era Daniele. A questo punto lui s’è né andato”.

Tamara racconta il suo disagio, perché nel 2014 al K2 Daniele le era piaciuto molto, ora invece spiega la sua difficoltà a vivere dentro queste tensioni e la necessità imprescindibile che per salire una montagna attorno ci siano armonia e pace.

Il racconto, lungo, di Tamara prosegue: ancora quei due passi dalla cima, la rinuncia serena e consapevole, l’ammirazione per i “grandi” polacchi, che vivono e salgono in ogni dove ed a condizioni impossibili.

Il difficile e troppo rapido distacco dal campo base, dove vorrebbe vivere anche due anni, perché lì nulla ti turba, nemmeno i terribili disturbatori elettronici della vita e se un disturbatore in carne e ossa è nei paraggi può capitare pure che se ne vada di sua spontanea volontà.

Perché ho ripreso a scrivere del Nanga? Perché quest’intervista a Tamara Lunger, giovane donna che ammiro profondamente e stimo, anche per l’innocenza di cui è capace, mi riapre inquietanti dubbi e qualche interrogativo. Lascio gli uni e gli altri in sospeso, nella speranza che qualcuno non m’insulti, come è già accaduto, per aver osato metter becco, e che qualcuno possa con semplicità e, finalmente, anche sincerità spiegare a tutti quel che è veramente accaduto sul versante Diamir quest’inverno, al di là della meravigliosa salita in vetta di Ali Alex e Simone.

 

 

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3 Commenti

  1. “Simone ha detto che non voleva salire con Daniele, perché non si fidava”. parafrasando Moro ha cacciato Nardi…

    1. Se Nardi stesso ha detto a Tamara di non essere al top mentalmente, perche’ si da la colpa sempre a Simone Moro?
      Le scalerebbe un’ 8000 con un compagno di cordata non sicuro di se stesso? Io no lei forse si.
      Cosa c’ entra Moro? Nardi l’ha dimostrato parecchie volte che manca di mentale e sappiamo bene quanto conti in situazioni estreme si fara’ lo spero e glielo auguro (lo ripeto che tecnicamente e’ forte ma forse non ancora pronto per il grande salto) non diamo sempre le colpe ad altri
      rispettuosamente
      Baroldi Fabio

  2. Mi permetto di rispondere al Sig. Baroldi (che ringrazio per il tono moderato della risposta) anche se lo spazio concesso dal mezzo è limitato.

    Moro è senza ombra di dubbio un atleta di caratura eccezionale (su questo non ci piove). Personalmente non penso sia anche un campione, almeno non nell’accezione attuale del termine che considera anche aspetti extrasportivi di tipo etico/morale . Penso di non essere il solo a pensarla cosi.
    Questo mi dispiace da amante della montagna, da bergamasco e da suo (ex) ammiratore. Poi ognuno agisce come meglio crede (per carità), pero’ se sei un personaggio pubblico ed eroe delle invernali, magari la polvere sotto il tappeto tende ad uscire.

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