
[:it]Sassolungo 18 marzo 1970
“La comitiva è guidata da uno staff di assoluta eccellenza: Toni Gobbi e Mario Senoner, ai quali si aggiungono la guida Remo Passera di Gressoney e l’aspirante guida Mirko Minuzzo di Cervinia. I gitanti partono alle 5.30 dall’albergo Kristiania di Selva di Val Gardena. Il programma è di raggiungere l’Alpe Siusi ed il Sasso Piatto, ridiscendere a Campitello di Fassa, risalire con mezzi meccanici alla forcella del Sasso Lungo, e, con una lunga discesa, rientrare a Selva di Val Gardena. Alla base del Sasso Piatto la comitiva inizia la salita in sci della vetta. Ad un certo punto vengono abbandonati gli sci per proseguire a piedi. Durante la mattinata la temperatura è fredda. Verso mezzogiorno si alza lo scirocco un caldo vento da sud-est. Per evitare il pericolo di tagliare il pendio nevoso, determinando slittamenti di banchi di neve, la comitiva scende a piedi in verticale dal culmine del Sasso Piatto. Le cordate sono così composte: nella prima Gobbi, Minuzzo e quattro clienti, nella seconda Senoner e tre clienti, nella terza Passera e tre clienti. Improvvisamente si stacca una placca di neve che travolge la cordata di Gobbi trascinandola in basso per trecento metri. Nella caduta gli alpinisti vanno a sbattere contro rocce emergenti dalla neve. Toni Gobbi, Cicci Turati ed altri due clienti vi trovano la morte. Minuzzo ed un cliente restano gravemente feriti, ma si salveranno. “.
Toni Gobbi era considerato un fanatico della prudenza che lo aveva portato a non avere mai avuto incidenti nella sua intensa attività̀ di guida alpina. Un gigante, una vita esemplare purtroppo tragicamente interrotta quando stava esprimendo il meglio.
Ebbe l’idea geniale di proporre uno scialpinismo impegnativo di alta montagna a una sempre più̀ vasta cerchia di clienti, a partire dal 1951, ripetendo ogni anno le famose settimane di sci-alpinismo nella sua forma più̀ nobile e cioè̀ quella delle grandi traversate. Per riuscire in questo suo progetto si era dedicato anima e corpo ai suoi clienti che considerava allievi e amici. Le sue regole erano l’ordine, l’efficienza e la disciplina. Ogni anno i programmi si arricchivano ed i clienti aumentavano. Nei cataloghi, densi di informazioni, che ogni anno inviava a potenziali clienti, venivano descritti gli affascinanti itinerari di sci-alpinismo dal Delfinato alle Alpi Venoste. Toni Gobbi giustamente predicava che in una settimana si ha il tempo di carburare fino ad arrivare in poco tempo a un grado di forma ottimale.
Non si tratta di scialpinismo facile, ma di una attività̀ dall’alto contenuto innovativo che fino ai giorni nostri non ha più trovato nessuno alla sua altezza.
In montagna, dopo ogni incidente, sorgono sempre discussioni alla ricerca di responsabilità.
Oggi poi la cosa si amplifica esponenzialmente: quasi sempre si dice che se colpe ci sono, sono da imputare all’imprudenza degli scialpinisti ed i media ed i sapientoni si scatenano, in più anche i tribunali.
Come sapete l’AINEVA è responsabile dell’emissione del bollettino valanghe che prevede 5 livelli di rischio crescente, ma, proprio per non assumersi eccessive responsabilità, già il livello 1 è un livello in cui non si esclude qualche rischio isolato.
Se facciamo una statistica della distribuzione percentuale dei livelli di rischio durante una stagione “normale” di innevamento (non come quella in corso per intenderci) ci accorgiamo che spesso vengono dati rischi 2 e 3, quasi sempre in eccesso (ecco meglio non assumersi troppa responsabilità); ora un appassionato di scialpinismo o fuoripista cosa deve fare? mettere in armadio sci e scarponi e cambiare sport?
Nella testa degli scialpinisti ecco che il rischio 3 viene considerato accettabile e si parte, cercando di stare più attenti.
Altra considerazione importante: i bollettini sono emessi a livello provinciale e quindi sono strutturalmente incapaci di dare indicazioni del livello del rischio locale su una montagna immersa nel caos orografico (direzione del vento che varia!) soprattutto nella zona Dolomitica e dintorni.
Ma come si fa a dare rischio 3 dopo una nevicata di oltre 1 metro che segue a un periodo di mesi senza precipitazioni? non era questo il caso di mettere un bel 4 marcato per scoraggiare ogni attività? E invece aver il coraggio di dare grado 2 più spesso in modo da indirizzare più correttamente gli scialpinisti?
Mi arriva a casa da sempre il mensile pubblicato da AINEVA e devo dire che ormai è diventata una rivista scientifica illeggibile ai più, totalmente dedicata allo sviluppo di modelli matematici di simulazione del comportamento del manto nevoso: nulla di utile a chi poi sulla neve ci va!
Inoltre purtroppo i bollettini sono emessi sulla base dei dati raccolti in stazioni posizionate nei pressi delle strade o al massimo sulle piste da sci, non certo su rilievi fatti sul terreno reale dove viene praticato lo sci alpinismo (solo in alcune regioni viene affidato alle guide alpine il rilievo in montagna lungo itinerari e creste).
Per noi che oltre a consultare i bollettini dobbiamo capirci un po’ di più, qualche consiglio:
- le nevicate con vento sono più pericolose perché si formano lastroni di neve soffice non facilmente riconoscibili: si sente solo la neve un po’ più gessata del solito, che frena un po’ di più di una neve polverosa giusta (con temperature basse rimangono delle trappole)
- se non si vedono le tracce del vento sulla neve sulla quale ci stiamo muovendo, guardiamo sempre le creste delle montagne circostanti tutto intorno a noi anche quelle che ci rimangono alle spalle, e guardiamo se si vedono dei crinali erosi dal vento
- il sovraccarico del gruppo diventa importantissimo e dipende dal numero, ma anche dalle capacità sciistiche: se si cade o se si va a piedi si incidono strati più profondi e spesso più pericolosi
- i percorsi dove si sono verificati pochissimi passaggi durante la stagione, prima di noi, sono molto più pericolosi: aspettare la trasformazione del manto è opportuno
Ma rimane sempre importante ricordarsi che nessuno nasce professore con la neve!
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