Scienza e tecnologia

L’alta quota atrofizza il cervello

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ROMA — La carenza di ossigeno in alta quota può provocare seri danni al cervello, in particolare alle aree che controllano i movimenti. E’ questo il rischio che corrono tutti gli alpinisti che vanno oltre i 5.000 metri, secondo uno studio condotto dalla Fondazione Santa Lucia di Roma in collaborazione con il Comitato EvK2Cnr sugli alpinisti che hanno partecipato alla spedizione K2 2004, organizzata da Agostino Da Polenza per il cinquantenario della prima salita sulla montagna.

Gli alpinisti su cui è stato condotta la ricerca sono Claudio Bastentraz, Alessandro Busca, Paolo Comune, Giuliano De Marchi, Soro Dorotei, Massimo Farina, Adriano Greco, Sergio Minoggio, Silvio Mondinelli, Mario Merelli, Hubert Moroder, Walter Nones, e Karl Unterkicher. Tutti protagonisti della spedizione del cinquantenario del K2, tutti saliti in alta quota senza l’utilizzo di ossigeno.
 
Prima della spedizione che li avrebbe portati sulle due montagne più alte del mondo, Everest e K2, gli alpinisti sono stati sottoposti a risonanza magnetica nucleare e a diversi test cognitivi. Gli stessi test sono stati fatti a un gruppo di controllo formato da persone che poi sono rimaste a livello del mare.
 
Al rientro dalla spedizione, gli alpinisti sono stati sottoposti agli stessi esami con lo scopo di rilevare variazioni indotte dalla loro permanenza in alta quota. Fra loro c’era chi è arrivato in vetta, chi è rimasto al campo base, chi è stato esposto poche volte all’alta quota e chi molte.
 
C’è voluto tempo prima di ottenere risultati dalle analisi, condotte con una particolare tecnica, la Voxel-Based Morphometry, che analizza sia la materia bianca che quella grigia del cervello quantificando le eventuali variazioni dei tessuti cerebrali. Finalmente, però, queste risposte sono arrivate.
 
I ricercatori, infatti, avrebbero riscontrato negli alpinisti dei visibili cambiamenti del tessuto cerebrale dopo la salita in alta quota, localizzati nelle aree motorie. La presenza di queste aree atrofizzate, secondo gli studiosi, sarebbe inoltre indipendentemente dal loro acclimatamento o da eventuali sintomi.
 
Come si sono formate? Secondo gli scienziati, la rarefazione dell’aria in alta quota porta a una minore concentrazione di ossigeno nei tessuti cerebrali, la quale a sua volta può avere come conseguenza danni al cervello, disturbi neurologici e/o cognitivi.
 
"Si tratta di uno studio interessante – commenta Paolo Cerretelli, luminare internazionale della fisiologia d’alta quota e presidente onorario del Comitato EvK2Cnr -. Nella letteratura ci sono altri casi simili, in cui si riscontravano piccole alterazioni della corteccia, perlopiù reversibili, probabilmente legate a edemi cerebrali localizzati e spesso asintomatiche. Sarebbe interessante proseguire la ricerca per capire come si è evoluta la situazione a seconda delle seguenti esposizioni in alta quota".
 
I risultati della ricerca, coordinata da Margherita Di Paola con la supervisione di Carlo Caltagirone, sono stati pubblicati pochi giorni fa sull’Europeanb Journal of Neurology. Alla ricerca hanno collaborato, oltre al team della spedizione K2 2004 e del Comitato EvK2Cnr, anche il Laboratorio di Neurologia Clinica e Comportamentale, il Dipartimento di Radiologia e il Laboratorio di Neuroimmagini della Fondazione Santa Lucia.
 
I ricercatori hanno voluto dedicare il lavoro ai primi salitori del K2, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, a Walter Bonatti e Madhi, con una menzione speciale per Massimo Farina, il più giovane della spedizione, che nel 2005 ha perso la vita sulle Alpi.
 
 
Sara Sottocornola

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