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Dopo la grande invernale al Nanga parte la stagione in Himalaya

[:it]BERGAMO – L’Himalaysmo è low cost, non da oggi a dire il vero, e non certo per i suoi protagonisti, ma per la possibilità di trovare supporter e sponsor. Qualcuno dirà che il “mercato è saturo”, che tradotto significa che c’è un mucchio di gente che ormai sale gli ottomila. Ma è poi vero?

Di gente che sale l’Everest, senza ossigeno, a parte questi ultimi due anni di tragedie che di fatto hanno “chiuso” l’accesso alla montagna, tra i 500 che sul tetto del mondo ci arrivavano annualmente, quelli che salivano veramente alla quota di 8850 metri, vale a dire senza ossigeno, si contavano sulle dita di una mano.

Si perché, ne discutevo oggi con Maurizio Gallo, salire 14 volte in cima all’Everest, essendo attaccati all’ossigeno e portando con sé clienti ossigenati, è un lavoraccio durissimo, ma si tratta di un lavoro; così come continua ad essere un record poco, molto poco sportivo correre in vetta avendo dei colleghi che hanno depositato una bombola di ossigeno ogni 300 metri e battere il primato di velocità, ciucciando 4/5 litri al minuto del prezioso gas e trovandosi di fatto a camminare a una quota sotto i quattromila metri. L’ossigeno non sarà doping, ma modifica tantissimo la prestazione in quota e pertanto al doping assomiglia molto. Oggi l’himalaysmo con l’ossigeno è largamente prevalente e mentre in Patagonia ti fanno pelo e contropelo sulle difficoltà e le condizioni di una salita, in Himalaya la reticenza sul dire se sei salito con o senza ossigeno è abbondantemente tollerata.

La verità è che una volta i sogni nascevano guardando le fotografie delle montagne e leggendo avvincenti relazioni, oggi guardando dentro al portafoglio. Un amico himalaysta, uno dei pochi che ancora ha voglia di confrontarsi con gli ottomila, che vuol provarci mi ha detto: “Sarà anche non più di moda, ma a me piacerebbe arrivare ai 14 ottomila”.

Certo la “competizione” forse non è nelle corde dell’alpinismo, ma perché ormai c’è un monopolio e perché chi ha avuto la capacità e la fortuna di trovare una strada nel mercato della comunicazione e degli sponsor sfrutta a fondo questa sua posizione, meritata per carità. Ma non ce n’è per nessun altro. C’è qualcuno che pratica ancora un buon alpinismo e magari è anche un buon comunicatore, ma trovare chi supporti tutto questo non è per niente facile. Nonostante anche le grandi montagne abbiano bisogno di essere ben raccontate.

Gli alpinisti continueranno a salire gli ottomila e dovranno scegliere a breve, guardando il fondo del loro borsellino, una meta in Himalaya o Karakorum per l’anno 2016.

La verità è che non ci sono più giovani alpinisti che pensano a queste montagne con la voglia di fare nuove vie, nuove pareti e che inseguono sogni.

Le invernali sono state una bella invenzione ed hanno dato successo e visibilità mediatica a Simone Moro (ed anche all’alpinismo himalayano), che di questa specialità s’è consacrato il campione. È una strada aperta e chi vorrà sfidare ora il K2 in inverno, o semplicemente provare a salirlo, ha una bella gatta da pelare. Poi probabilmente ci sarà la corsa a chi salirà i 14 ottomila in invernale. Ma se dovessi oggi pensare ad un alpinista adatto al K2 invernale francamente mi troverei nell’imbarazzo nel constatare il grande vuoto che si è creato in questa specialità dell’alpinismo. Sono mancati i giovani, alcuni anche fisicamente, e pure tra i meno giovani, oltre alle belle carriere e storie, è rimasto molto poco. Sarebbe bello poter fare altri nomi di alpinisti con la passione per le grandi montagne ed imprese. Ci piacerebbe raccontarle.[:]

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