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Giampietro Verza: viaggio nel Khumbu devastato dal terremoto, il dramma di tutta la valle

[:it]LOBUCHE, Nepal — “A Thame, il villaggio più colpito dalle due prime scosse, mi aspettava una sorpresa; alle 12:49 del 12 maggio arrivava la terza inaspettata scossa. In mezzo a un campo circondato da case distrutte, lentamente, dolcemente, la terra comincia a scivolare, scivola in tutte le direzioni, il movimento si amplifica, potrei stare ancora in piedi a fatica. Ma ci inginocchiamo in un gruppo, gli uomini pregano, le donne piangono, ci abbracciamo ma sembra non finire mai…”. Sono le parole di Giampietro Verza, guida alpina e responsabile tecnico della Piramide dell’Everest, gestita dall’Associazione italiana EvK2Cnr. Verza è volato in Nepal a inizio maggio: questo il racconto del suo viaggio nella valle del Khumbu devastata dal terremoto.

“La valle del Khumbu è il naturale accesso all’Everest, da Sud a Nord in 40 km porta dalle foreste tropicali ai sedimenti marini più alti del mondo, quelli che sorreggono la cima dell’Everest. la valle è un concentrato di biodiversità vegetale, animale e umana. Appena sceso dalla pista di Lukla, 350 metri di asfalto inclinato di 15°, ho visitato il villaggio di Chaurikarka. Il sisma del 25 aprile ha sconvolto una popolazione che prima viveva tranquilla. Qui un nostro gruppo di ricerca ha installato delle serre per l’ottimizzazione di alcune colture. Le serre sono diventate in pochissimo tempo l’ancora di salvezza di diverse famiglie che le hanno potute usare per ripararsi dopo che le case erano diventate inabitabili.

A Khunde e Khumjung, veri centri storici dell’insediamento delle popolazioni tibetane provenienti dal passo del NangpaLa, fervevano i lavori di ristrutturazione. Ma solo per chi poteva permetterselo, le altre case erano semplicemente abbandonate, in attesa di avere le risorse per ripararle.

A Thame, il villaggio più colpito dalle due prime scosse, mi aspettava una sorpresa; alle 12:49 del 12 maggio arrivava la terza inaspettata scossa. In mezzo a un campo circondato da case distrutte, lentamente, dolcemente, la terra comincia a scivolare, scivola in tutte le direzioni, il movimento si amplifica, potrei stare ancora in piedi a fatica. Ma ci inginocchiamo in un gruppo, gli uomini pregano, le donne piangono, ci abbracciamo ma sembra non finire mai…Al ritorno le nuove frane e le crepe sul terreno lasciano intuire che questo è stato un evento grave e potente.

A Namche tutta la popolazione è sfollata in tende, sopra, sotto e attorno al villaggio, pur di stare lontani dalle abitazioni che scaricano pietre. Ancora oggi a una settimana da quell’evento a Namche non è rientrato nessuno. Alle scosse ondulatorie a bassa frequenza ora si avvicendano quelle più rapide, segno che l’epicentro ora è più vicino a noi, è quasi sotto di noi.

Proseguo in una valle in cui non ci sono più turisti, in un periodo magnifico per il trekking e le spedizioni. Portatori carichi all’inverosimile trasportano enormi sacche bianche di rifiuti dal Campo Base. Arrivo a Deboche, ovviamente si può solo dormire in case di legno, ne trovo una dove è anche alloggiato il Rimpoche di Tyangboche, una reincarnazione che è la massima autorità religiosa della valle.

Di prima mattina il Rimpoche mi fa chiamare, prima delle sette sono in udienza davanti a questo ometto venerato che mi trattiene per 90 minuti per concludere che la mia idea di una cerimonia alle Montagne era buona e che ci avrebbe mandato i monaci. Appena sopra la Piramide, alla vista del Chomolongma (Everest per i tibetani), i monaci pregheranno le Montagne di far stare il terreno un po’ fermo, adesso. Le monache di Deboche con le quali posso interagire solo con sorrisi, sono anche loro sfollate, hanno salvato le scritture sacre ma ora dormono in tenda aspettando un monsone che quest’anno è annunciato in anticipo. Questo il dramma di tutta la popolazione della valle.

Il monsone ha la capacità di saturare l’ambiente d’acqua, le case già diventano sgradevolmente umide, le tende non porranno che un limitato riparo. A Pangboche ci sono dei militari, stanno cercando di stabilizzare gli interni di una casa mezza distrutta. Uno sherpa mi riconosce e mi racconta che la vita può essere molto dura. L’uomo proprietario della casa, cuoco al Campo Base dell’Everest, è morto spazzato via dalla valanga. Un crollo di ghiaccio per un volume pari ad una delle torri gemelle di New York, e un peso di oltre 2 milioni di tonnellate. La nuvola di neve, ghiaccio e pietre ha volato per 2 chilometri prima di abbattersi sul Campo Base. Poi il terremoto ha tolto anche la casa alla famiglia di quell’uomo.

Dalle affascinanti foreste di rododendri giganti fioriti di bianco e giallo e rosso, alle morene fino a Periche dove un ragazzo del nostro staff mi mostra il suo nuovo lodge in costruzione completamente distrutto. La struttura incompleta non ha retto e tutti i sacrifici della sua vita sono rimasti sotto un tetto in lamiera che sventola. La testata della valle è completamente deserta, non c’è piu turismo e non sono ancora arrivati gli yak men con le loro mandrie. Un piccolo yak appena nato fa fatica a stare in piedi, la madre mi vede avvicinare e mi corre incontro minacciosa.

Ormai l’ambiente è solo parzialmente coperto da arbusti, salendo la terra rimarrà coperta di una vegetazione erbosa secca e compatta che si può usare per fare dei muretti. Da questa su su fino ai ghiacciai che circondano la Piramide; in una valletta tra il ghiacciaio del Khumbu e quello di Lobuche appare il cristallo di alluminio e acciaio voluto da Ardito Desio, simbolo del progetto EvK2CNR”.

Giampietro Verza

 

 

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