Scalette sull’Hillary Step contro le code all’Everest? Mondinelli, Viesturs ed altri: sbagliato e inutile
KATHMANDU, Nepal – “Io credo che la difficoltà dell’Hillary Step costituisca una specie di selezione naturale per chi voglia salire l’Everest. La scaletta non mi pare una soluzione”. La pensa così Silvio “Gnaro” Mondinelli sull’ultima ipotesi di provvedimento che prevede l’utilizzo di scalette su uno dei celebri passaggi finali della scalata alla montagna più alta del mondo dal versante Sud. E non è l’unico ad avere dubbi sull’accorgimento, pensato da Kathmandu in vista della stagione alpinistica incipiente per evitare lunghe code di persone in salita. Una risoluzione ai fini della sicurezza? “Nell’ipotesi migliore come mettere un cerotto su un’arteria con un’emorragia” secondo Ed Viesturs.
Dopo le questioni dei costi dei permessi e degli 8 chili di spazzatura da rimuovere per ogni persona che salirà oltre il campo base dell’Everest, il Ministero del turismo nepalese starebbe pensando a un nuovo provvedimento relativo alla scalata del Tetto del mondo: l’idea sarebbe quella di piazzare una scaletta sull’Hillary Step, il celebre salto di roccia alto una decina di metri situato a quota 8790 metri sulla “normale” del versante Sud. Lo scopo sarebbe quello di evitare “congestionamenti” da rallentamenti, velocizzare il passaggio cioè, per scongiurare le pericolose code che ingorgano la via.
“Stiamo pensando di mettere delle scalette sull’Hillary Step – avrebbe detto a Reuters Dawa Steven Sherpa, membro dell’Expedition Operators Association (EOA) -, ma la questione è controversa. Il punto di maggior ingorgo è l’Hillary Step perché solo una persona alla volta può andare su o giù. Aspettare significa molta più esposizione al rischio. Se lo facessimo per facilitare la scalata questo sarebbe sbagliato, ma il provvedimento sarebbe ai fini della sicurezza”.
Diversi big dell’alpinismo internazionale hanno espresso tuttavia non pochi dubbi sull’idea di utilizzare le scalette in questo tratto della salita.
“Io credo che quella difficoltà costituisca una specie di selezione naturale – ci ha detto infatti Silvio Gnaro Mondinelli, che oltre ad aver salito tutti i 14 ottomila senza ossigeno, conosce bene l’Everest per esserci andato in cima sia da nord che da sud -. Tutt’al più potrebbero mettere una corda in più per cercare di ridurre i tempi. Nel 2001 a me è capitato di aspettare mezz’ora che scendessero delle ragazze cilene, però già negli anni scorsi è capitato che fissassero due corde, una per scendere e una per salire”.
Una cattiva pensata quindi, secondo alcuni, non solo in termini alpinistici, ma anche in quelli della sicurezza in quanto avallerebbe in qualche modo la sbagliata impressione che sia possibile a chiunque affrontare la scalata dell’ottomila.
“Non sono d’accordo all’uso delle scalette sul’Hillary Step in nessun caso – scriveva per esempio Alan Arnette sul suo blog già alla fine della scorsa primavera, quando si iniziava a parlare di un possibile provvedimento di questo tipo -. La scalata dell’Hillary Step è fondamentale e tutti gli alpinisti dovrebbero essere in grado di superare questo livello basilare di arrampicata su roccia prima di venire all’Everest. Penso che una scaletta porterebbe a minimizzare la difficoltà dell’Everest e incoraggerebbe coloro che non hanno le capacità minime per sostenere il rischio, spinti anche da avidi tour operators. Ci sono modi migliori per rendere l’Everest più sicuro senza renderlo più facile”.
Intanto la stagione premonsonica all’Everest è pronta a partire. Gli sherpa sono arrivati il 13 marzo al campo base, che in poche settimane si popolerà di centinaia di persone.
“Penso che la scaletta sia una pessima idea – avrebbe detto al New York Time anche Ed Viesturs, l’alpinista statunitense che ha in curriculum i 14 ottomila senza ossigeno -. Non risolverà il vero problema, che è il sovraffollamento della via alpinistica più famosa del mondo. Mettere una scala permanente per superare l’Hillary Step nell’ipotesi migliore equivarrà a mettere un cerotto su un’arteria con un emorragia”.
Più possibilista il presidente dell’Uiaa (International Mountaineering and Climbing Federation) Frits Frijlandt per il quale potrebbe essere utile a patto di usarla solo nella fase di discesa, senza incidere quindi sulla salita. “Dobbiamo però essere inclusivi – avrebbe detto comunque al Guardian -, l’Everest non è un posto per l’allenamento di persone che conoscono il ghiaccio solo come cubetti in un bicchiere in cui usare piccozze e ramponi”.
Ad onor del vero le scalette all’Everest non sono certo una novità: in particolare sul versante nord costituiscono il mezzo di salita dei tre famosi Step finali: il primo si trova a 8564 metri, il secondo a 8610 e il terzo a 8710 metri. Dei tre è il secondo il più difficile: 40 metri di roccia verticale la cui difficoltà è stata notevolmente ridotta dal 1975 grazie all’affissione delle scalette da parte di un team cinese. Da allora praticamente tutti quelli che scalano il versante settentrionale dell’Everest le utilizzano.
“Chiaro – ha continuato infatti Mondinelli -, le scale ci sono anche dall’altra parte, dal versante Nord. Ma senza quelle scale di là non salirebbe nessuno perché si trovano sui i tre Step, che sono passaggi verticali, molto complessi. Non è paragonabile insomma all’Hillary Step, è tutta un’altra storia”.
Scale o no, discussioni vane e inutili, l’alpinismo tutto, anche di chi fa i 14 ottomila è ormai solo una questione commerciale personale e collettiva e ha perso ogni senso. O forse si trova ancora qualcuno che lo fa per amor della montagna senza urlarlo ai 4 venti?
Vietare le bombole d’ossigeno (se non in caso di emergenza) e limitare al minimo le corde fisse.
Così gli alpinisti della domenica vengono selezionati già dai campi bassi dove le azioni di soccorso sono meno complesse e chi invece ha le capacità per salire non troverà una colonna di inesperti a rovinargli la salita.