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Third Pole Environment: un progetto di ricerca sull’Altopiano Tibetano

Tibet (Photo: Wikimedia.org)
Tibet (Photo: Wikimedia.org)

PECHINO, Cina – E’ uno dei centri vitali del Pianeta per capire come il cambiamento climatico impatta sugli ecosistemi di alta quota. L’Altopiano Tibetano, con una superficie di oltre 5 milioni di chilometri quadrati e un’altitudine media di 4.000 metri, è chiamato dagli scienziati “Terzo Polo” per il grande numero di ghiacciai. Per questi motivi, da alcuni anni è attivo un programma specifico di ricerca, lanciato dall’Istituto di ricerca sull’Altopiano tibetano dell’Accademia delle scienze cinese: il Third Pole Environment. “In quest’area nascono una decina di fiumi, che forniscono acqua ai due terzi degli stati che attraversano. Considerando che il clima cambia molto velocemente in quest’area, ci sono dei problemi sulle risorse idriche”, spiega Yaoming Ma, docente dell’Istituto, intervenuto recentemente ad High Summit, la conferenza su montagna e cambiamenti climatici organizzata dal comitato EvK2Cnr a Lecco lo scorso ottobre.

L’obiettivo principale del programma scientifico è “mostrare e quantificare, dal punto di vista scientifico, le interazioni tra atmosfera, criosfera, idrosfera, biosfera e antroposfera nel Terzo Polo e le loro influenze sul globo per valutare i probabili impatti duraturi del cambiamento climatico”. Per questo, continua Yaoming Ma, “raccogliamo dati atmosferici, fisici, meteorologici, e ancora dati sulla composizione chimica dell’atmosfera e sugli ecosistemi”. Un’attività di ricerca importante anche perché sulle montagne, e in particolare sull’Asia e l’Himalaya, i dati sono ancora troppo pochi.

Una delle ultime scoperte dei ricercatori cinesi riguarda lo scioglimento delle sommità dei ghiacciai tibetani: se infatti fino ad oggi si pensava che nel “Terzo Polo” il ritiro avvenisse soprattutto a quote più basse, pochi mesi fa gli scienziati dell’Institute of Tibetan Plateau Research hanno dimostrato che la fusione può verificarsi fino a 6.000 metri. Gli studiosi hanno analizzato i segni lasciati nei ghiacciai da eventi che hanno cambiato la composizione dell’atmosfera, liberando composti chimici poi “intrappolate” nei ghiacci insieme alle bolle d’aria. Un esempio su tutti: i test nucleari, particolarmente frequenti tra il 1952 e il 63, che hanno emesso composti radioattivi come il trizio, un isotopo di idrogeno.

I campionamenti effettuati dagli scienziati sui ghiacciai a 6.000 metri raccontano cosa sta succedendo. Un carotaggio del Lanong, situato nel Tibet meridionale, non contiene trizio, né altri componenti radioattivi liberati dall’incidente di Chernobyl nel 1986, segno che gli strati risalenti al periodo dal 1950 in avanti sono sciolti o si sono trasformati in vapore per sublimazione. Un altro campione, prelevato dal Guoqu, nel Tibet centrale, porta con sé i segni dei test nucleari e dell’esplosione del vulcano indonesiano Galunggung nel 1982, ma nessuna traccia del disastro ucraino, né di mercurio successiva agli anni ‘80. Dimostrazione che il ghiacciaio si sta restringendo da tre decenni.

Per approfondire:

www.tpe.ac.cn

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