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Montagna e clima al Cop19: occasioni perse e occasioni da cogliere

Opening del Cop19
Opening del Cop19

BERGAMO — Sabato si è conclusa la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è svolta a Varsavia. Scarsa è stata nel complesso l’attenzione che i media italiani hanno riservato a un appuntamento così importante, mentre hanno imperversato, negli stessi giorni, tragici ma anche imprecisi commenti sugli stravolgimenti del clima in Sardegna. Eppure la grande partita sul futuro del clima si sarebbe dovuta giocare in Polonia.

Il bilancio di questa conferenza sul clima non può dirsi nel suo complesso positivo. Diversi osservatori titolati hanno parlato di un accordo di basso profilo, acchiappato per il rotto della cuffia. Sulle pagine del Corriere della Sera Danilo Taino ha evidenziato due insegnamenti a suo parere emersi (che non suonano purtroppo così nuovi): l’influenza dell’Occidente si sta indebolendo; le esigenze dell’economia prevalgono su quelle dell’ambiente. Anche la BBC ha descritto un accordo dell’ultimo minuto frutto di continue mediazioni anche su singole parole e nel complesso con poca sostanza. Gli Stati entro il 2015 dovrebbero comunicare i loro piani riguardo ai “contributi” per il taglio delle emissioni di CO2. La speranza per un più proficuo accordo è dunque rimandata a Parigi 2015.

In questo quadro complesso e di grandi scenari, alcuni enti scientifici specializzati ed internazionali, tra cui il Comitato EvK2CNR, l’ICCI (The International Cryosphere Climate Initiative), ICIMOD (The International Centre for Integrated Mountain Development)e il Molina Center hanno provato, nell’ambito del loro ruolo, a portare l’attenzione sul tema delle montagne e dei territori ghiacciati con messaggi positivi e propositivi. Vale a dire: è possibile concretamente mettere in atto azioni efficaci di contrasto ai cambiamenti climatici in termini di prevenzione, mitigazione, adattamento e ricerca.

Durante la giornata della Criosfera sono stati presentati il report On Thin Ice redatto da ICCI in collaborazione con la World Bank e i Key Messages High Summit 2013. Il report On Thin Ice mostra come la riduzione dell’inquinamento possa portare a un rallentamento dei cambiamenti climatici e a salvare vite umane e indica 14 misure che se adottate porterebbero benefici su più piani per la salute e per gli ecosistemi. Nei Key Messages sono evidenziati i contributi che la ricerca scientifica può e deve apportare nell’ambito delle conoscenze degli effetti dei cambiamenti climatici negli ambienti montani.

Tra i relatori presenti durante la giornata della Criosfera, Claudio Smiraglia, uno tra i più noti glaciologi italiani, a cui abbiamo chiesto di riportarci quali sono state le indicazioni più interessanti emerse durante la giornata. “Direi l’esigenza di un maggior coordinamento fra gli studiosi e i progetti, ormai numerosi, che si occupano di criosfera e soprattutto l’esigenza di migliorare i canali di divulgazione dei risultati, in particolare al di fuori della cerchia degli esperti, ad esempio fra i decisori politici”.

Abbiamo poi chiesto a Smiraglia di segnalarci un dato che ha ritenuto di particolare utilità e di cui non era a conoscenza: “Sono in realtà due dati: la riduzione dei ghiacciai dell’Antartide Occidentale,in particolare nella Penisola Antartica, e gli effetti dell’aerosol e delle particelle fini sulla fusione dei ghiacciai montani e delle coperture nevose. In entrambi i casi si tratta di fenomeni di cui si parla da tempo, ma sono impressionanti i nuovi dati presentati a Varsavia sull’accelerazione di entrambi”.

Ad Agostino Da Polenza, presidente del Comitato EvK2CNR – che già in passato ha voluto che il Comitato portasse il suo contributo alle Conferenze sul clima – abbiamo chiesto di fare un bilancio e di indicare una direzione. Che cosa si auspica possa diventare questo appuntamento dal punto di vista degli enti che fanno ricerca? Servono queste conferenze o sono solo soldi buttati? Che ruolo dovrebbero o potrebbero ricoprire gli enti scientifici?

“Il primato rimane della politica internazionale, gli interessi quelli dei singoli Paesi – spiega Da Polenza -. Difficile, in una situazione di profonda crisi economica e di progressiva perdita di rappresentazione politica dei singoli Paesi europei e occidentali in generale, incidere in negoziazioni che abbiano a cuore il “futuro del Pianeta”. Di buono c’è che i Paesi emergenti, seppur con mille contraddizioni, vogliono un futuro ambientale e un futuro sostenibile. Ma anche a modo loro. Vale a dire nell’ambito di processi non egemonizzati, tantomeno dalle potenze “tradizionali”. Dunque quel che a noi rimane da fare, piccoli granelli di un ingranaggio, è quello che da sempre facciamo sulle montagne del mondo: promuovere, fare scienza, raccogliere dati, elaborare modelli e previsioni e consegnare il tutto alla classe politica, sperando che ne faccia buon uso e che decida per il meglio”.

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