Alta quota

Un secolo fa, la spedizione di De Filippi in Karakorum

Filippo De Filippi, 1909 © Fondazione Sella
Filippo De Filippi, 1909 © Fondazione Sella

ROMA — “Il viaggio dall’Italia a Lè per la via di Bombay, Delhi e il Cashmir si può compiere senza troppo affrettarsi in qaranta giorni, ed ha cessato di essere avventuroso anche nel tratto di via carovaniera tra il Cashmir e Lè, purché si faccia in stagione opportuna”.

“In un paio di settimane, inerti come spettatori nelle poltrone di un teatro cinematografico, si assiste al succedersi di quadri che si dileguano appena intravisti, quasi senza transizione: Marsiglia, lo stretto di Messina, poi, bruscamente l’Oriente. Porto Said, Aden, Bombay”.

Srinagar, primi giorni d’autunno del 1913. Quando Filippo De Filippi scrive queste note nel suo diario, la sua straordinaria spedizione scientifica è partita da quasi un mese e mezzo. Dopo la lunga traversata via mare, e la corsa in treno attraverso le pianure dell’India, tre giorni al galoppo sui tonga, veloci calessi trainati da cavalli, hanno portato la comitiva nella capitale del Kashmir.

A Srinagar, De Filippi e compagni non si concedono una vacanza, ma lavorano a organizzare la carovana e i suoi bagagli. Incontrano le autorità britanniche e del Kashmir, e gli alpinisti italiani Mario Piacenza, Lorenzo Borelli e Joseph Gaspard che hanno appena compiuto la prima ascensione del Kun, 7077 metri.

Il 21 settembre del 1913, prima in battello, poi a cavallo e infine a piedi, i ricercatori italiani partono verso lo Zoji-La, le rive dell’Indo e Skardu. Quando si lasceranno alle spalle l’Himalaya per ritornare in Europa, sarà passato un anno e mezzo dalla partenza. E il Vecchio Continente, tranquillo al momento dell’imbarco da Marsiglia, sarà ormai piombato nell’inferno della guerra.

Spiace dirlo, ma la stampa e la televisione italiana hanno finora “bucato” un anniversario importante. La spedizione scientifica italiana partita verso le montagne dell’Asia nell’estate del 1913, e tornata in patria nel dicembre del 1914, è un evento di straordinario rilievo. Ideata e diretta da Filippo De Filippi, chirurgo torinese diventato il cronista delle spedizioni del Duca degli Abruzzi al Sant’Elia, al Ruwenzori e al K2, ottiene risultati importanti nei campi della gravimetria, della topografia, della geologia, della meteorologia e dell’antropologia.

Tra i suoi quindici partecipanti (undici italiani, due inglesi e due indiani) sono nomi importanti come il geologo Giotto Dainelli e il geografo Olinto Marinelli. Gran parte delle risorse necessarie, inclusa la presenza di militari in servizio, arriva dallo Stato italiano. Il supporto logistico ed economico del Raj, l’Impero britannico in India, sottolinea il ruolo ufficiale della missione, che esplora e mappa il bacino del ghiacciaio Rimu, all’estremità orientale del Karakorum.

Prima del Rimu, però, c’è un lungo viaggio da fare. Dopo tre mesi con base a Skardu (ma con puntate verso Paiju e il Baltoro) la squadra si sposta dal Baltgistan a Leh, la capitale del Ladakh. In estate si riparte verso nord, nella valle del fiume Shyok, e si sale ai quasi 5000 metri dell’altopiano del Dèpsang. Qui si fa base per l’esplorazione del Rimu. E qui arriva, il 16 agosto, la notizia dello scoppio della guerra in Europa.

Dopo aver scavalcato verso nord il Passo Karakorum, la spedizione De Filippi raggiunge il Turkestan cinese e poi quello russo, e torna verso l’Europa con un interminabile viaggio in treno. Alla stazione di Tashkent, però, le autorità impediscono ai viaggiatori di caricare sul treno gli strumenti scientifici, le macchine fotografiche e altro materiale. Le ferrovie russe, mobilitate per la guerra, devono trasportare prima di tutto i militari.

Così, diciotto preziosissime casse con i risultati di un anno e mezzo di lavoro vengono affidate al direttore dell’Istituto Topografico Militare di Tashkent in attesa della fine del conflitto. Poi quattro anni e mezzo di guerra, la rivoluzione di Lenin, poi la guerra civile (“sfacelo di ogni civile consorzio” scriverà De Filippi) le faranno sparire nel nulla. Già prima di terminare, la spedizione del 1913-‘14 inizia a trasformarsi nel “grande sconosciuto” della storia dell’esplorazione italiana.

 

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