Alpinismo

De Stefani: siamo alla pazzia pura

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MANTOVA — "Se si rischia di morire, l’ossigeno non è un problema. Ma lo diventa, se si decide di partire per un ottomila con la presunzione di portarselo: le emozioni non si misurano in base all’altezza della montagna. Purtroppo, battere i record è nostra la moda". Fausto De Stefani, 13 ottomila saliti senza ossigeno tranne l’Everest, attacca duramente i turisti dell’Everest e chi vive la montagna in modo commerciale o poco rispettoso.

Qual è la sua opinione sull’utilizzo dell’ossigeno in alta quota?
Ovviamente non lo condivido per vari motivi. Se uno ha dei problemi di quota, che vada a fare una montagna più bassa, quello che conta è la qualità delle esperienze che uno fa.  Questo vale per l’ossigeno ma anche per l’eliski: è andare in montagna con mezzi artificiali.
 
Ritiene che considerarlo "doping" sia esagerato o corretto?
L’ossigeno è sicuramente un artifizio. In caso di necessità, se si rischia di morire e c’è l’opportunità di poter intervenire con una bombola d’ossigeno non è un problema. Ma il problema è quello di partire per una salita di un ottomila con la presunzione di portarsi l’ossigeno. Questo non lo condivido. Ci sono persone che hanno tutte certezze nella vita, lo ho molti dubbi e poche certezze, per cui non mi piace né giudicare né sentenziare. Non considero l’alpinismo né un lavoro né una professione, per me è una passione, una filosofia di vita. Giusto o sbagliato che sia. Mettere dei paletti, degli obblighi, delle misure vuoi dire già andare a combinare molti guai. I guali li fa già la società… perché l’alpinismo non è altro che il suo specchio. Noi alpinisti siamo esempi delle luci e delle ombre di questa società.
 
Pensa che dovrebbe esistere un regolamento a cui gli alpinisti professionisti dovrebbero attenersi?
So che dove ci sono delle proibizioni poi la gente cerca di aggirarle. Se uno va in montagna per altri, e non per sé stesso, allora forse è meglio che resti in pianura. La montagna va considerato come un ambiente di grande libertà, luogo d’avventura intesa come avventura interiore. Se uno già bara, vuol dire che bara a sé stesso. Ma mettere dei limiti, normative, ma non ha senso, chi va a controllarle a ottomila metri? E’ fuori da qualsiasi logica.
 
Gli alpinisti di oggi sono diversi?
Sì, ho detto prima che siamo lo specchio di questa società e credo che ci siano molte più ombre che luci. C’erano anche una volta, ma se guardiamo a Buhl o altri, loro ritenevano l’alpinismo una filosofia di vita. Al giorno d’oggi c’è una forma di inquinamento culturale, per esempio con queste spedizioni commerciali. Ma finché c’è qualcuno che lo fa per sé stesso, l’alpinismo d’alta quota non morirà mai. Ci sono persone che fanno le loro esperienze, e va bene così.
 
Questo inquinamento commerciale è pericoloso? Va limitato?
Dirgli "voi non dovete andare perché non siete esperti", vuol dire che siamo già in braghe di tela in partenza. Non c’è una base né culturale né di esperienza che gli fa pensare "prima di un ottomila mi faccio una bella esperienza su monti più basse". ogni tanto ci sono alpinisti che magari non hanno mai fatto pareti impegnative come il Bianco o il Cervino che mi dicono "voglio provare il K2". Ma quelle sono cose con cui non si scherza! Ormai siamo alla pazzia pura. Ma con questo non è possiamo mettere divieti, perché non servono assolutamente a niente. Anche sulle strade se ne vedono di tutti i colori. Poi c’è sempre quello che "di sera nessuno mi vede e faccio quello che voglio"…
 
Cosa pensa del passaggio della fiamma olimpica sull’Everest?
E’ una cavolata, abbiamo già toccato il fondo. La Cina dove vuole andare? Mi fanno paura i nuovi arricchiti cinesi che pur di far notizia farebbero qualsiasi cosa. Intanto credo che prima di andare sull’Everest dovrebbero risolvere i problemi dell’inquinamento che hanno a fondovalle e sulle pianure. La montagna si può e si deve rispettare in tutte le sue forme, partendo dalle radici in pianura. Dal punto di vista sportivo, portarla su con l’ossigeno è sbagliato. Posso capire se uno lo usa perché è in pericolo o per evitare congelamenti, una volta nell’arco di tutta la sua vita, questo non è un problema. Ma non deve essere una prassi, così come l’utilizzo di medicinali o di doping.
 
Cosa pensa di chi insegue i record a tutti i costi?
Reputo riduttivo considerare l’alpinismo come uno sport, perché ha una componente atletica ma è soprattutto una filosofia di vita. Quello che mi interessa non è la performance ma cercare di star meglio il più a lungo possibile nel percorso della mia vita. Io voglio andare in montagna anche a 80 anni se ci arrivo, non voglio spremermi come qualcuno vorrebbe, non me ne frega niente del record. Se non ce la faccio mi accontento anche del Monte Baldo. Le emozioni non si misurano in base all’altezza della montagna, e questo dovrebbe valere al di sopra di tutto.
 
Secondo lei, la voglia di cima a tutti i costi è colpa degli sponsor?
Tante volte, il discorso degli sponsor è un alibi. Se qualcuno ti vuole aiutare devi esser molto chiaro sulle tue condizioni e basta. Io non ne ho nessuno ma potrei anche farne. Ognuno fa il proprio alpinismo come meglio crede, può prendere qualsiasi cosa per arrivare prima o utilizzare mezzi non leciti, ma va a scapito suo. Mi ricordo che vent’anni fa si parlava già di assumere un’aspirina ogni giorno: mi faceva paura, me ne fanno anche per l’influenza. Piuttosto impiego una settimana di più di acclimatamento, ma non posso portare i ritmi frenetici della pianura in montagna, altrimenti vuol dire che è sbagliato pensare di fare queste esperienze, non abbiamo capito niente.
 
La montagna cos’è per lei?
Io in montagna ci vado sempre, ritornerò ma senza fretta l’unica cosa certa in mezzo a tanti dubbi è che col passare degli anni la forza diminuisce. Ma vorrà dire che ci si impiaga di più. Battere i record, forse è nostra la moda: il più giovane che ha salito l’Everest o quello che ha impiegato meno tempo. Ma che me frega a me quanto tempo, se comporta un rischio o diminuire la qualità dell’esperienza che ho fatto, allora faccio una camminata in un bosco di faggi.
 
Secondo lei, nell’alpinismo odierno, oggi manca lo spirito esplorativo?
Anche qua non mi sento di generalizzare, nel mondo alpinistico esistono la qualità e la tecnica, non necessariamente uno deve cercare qualcosa di particolare. Io l’alpinismo tecnico l’ho fatto prima dell’Himalaya, poi anche lì ho cercato di andar via con il meno possibile. Reputo la prima salita alla Nord dell’Annapurna in stile alpino una cosa importante, ma anche allora, nel 1974, il Monzino usava gli elicotteri per arrivare a campo 2 all’Everest, e addirittura ha preteso una tenda arredata con mobili in stile antico al campo base. Sono notizie che non si sanno, ma ce ne sono a centinaia. Il fatto è che noi portiamo in montagna quello che siamo nella quotidianità, se uno è maleducato e non ha rispetto a casa sua, è difficile che rispetti l’Himalaya, le Ande o il deserto. E’ sempre lui: che sia generoso, ospitale, aperto o maleducato.
 
Sara Sottocornola

 

 

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