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Saro Costa, il volto giovane dell’alpinismo italiano

Saro Costa sulla via Siddharta al Pizzo d'Eghen (Photo Saro Costa)
Saro Costa sulla via Siddharta al Pizzo d’Eghen (Photo Saro Costa)

MILANO — Si chiama Saro Costa, ha 23 anni e nonostante la giovane età nell’ambiente alpinistico è già un nome, grazie ad alcune belle salite che ha realizzato sulle Alpi, sulle Orobie e sulle Grigne, soprattutto in invernale. Insieme al compagno di cordata Tito Arosio si è fatto promotore nel dicembre scorso del primo B.A.L. – Bocia alpinisti lombardi -: un raduno pensato dai giovani per i giovani con lo scopo di creare un network di conoscenze nel mondo alpinistico. Ed è questo anche il nostro scopo: dare spazio anche ai nuovi volti dell’alpinismo nostrano di oggi e di domani. Ecco cosa abbiamo scoperto di lui.

 

Saro per prima cosa, da dove arriva il tuo nome?
Il mio nome sarebbe il diminutivo di Rosario, ma io all’anagrafe sono Saro, i miei genitori mi hanno chiamato così. Sono nato a Lugano, ma sono sempre vissuto a Milano. Ho la doppia cittadinanza.

Come è nato l’amore per la montagna?
Ho iniziato a sciare da bambino insieme alla mia famiglia nel Canton Ticino. D’estate poi mi piaceva andare in giro per i boschi con un amico che trovavo lì: ci arrampicavamo sugli alberi, ci calavamo con qualche corda. Poi intorno ai 15, 16 anni ho iniziato a fare cose più tecniche. Andavo con uno o due amici.

Studi?
Ho finito il liceo classico e adesso sto seguendo il corso per diventare Guida alpina. E’ questo il lavoro che vorrei fare a tempo pieno, penso che sia possibile vivere di quello. L’idea è nata sempre da ragazzino: quando andavo a sciare ad Alagna, sul Monte Rosa, qualche volta con i miei genitori prendevamo una guida. Ed è stato lì che ho pensato: lo voglio fare anche io.

È vero che ti mantieni consegnando le pizze?
Vero, vero! Lo faccio come lavoretto a Milano, consegno pizze col motorino.

Da grande vorresti vivere e lavorare in montagna?
Vorrei lavorare con la montagna, ma non mi trasferirei. Mi trovo bene a Milano, mi piace stare qui, la vita in città. Mi piace anche il fatto che in due o tre ore riesco ad arrivare in Liguria ad arrampicare a Finale, riesco ad andare in Svizzera, al Monte Rosa, al Monte Bianco. Non vorrei mettermi in un punto e fissarmi lì, soprattutto perché mi piacerebbe viaggiare il più possibile.

Di recente hai compiuto una bella solitaria invernale al Pizzo d’Eghen, sulla via Siddharta. Nel tuo racconto a un certo punto dici: “Sono qui per fare tutto da solo”. Cosa c’è di bello nel fare tutto da solo?
Vuol dire mettersi in gioco al 200%. Non ti appoggi a nessuno, è un modo per vedere cosa sei in grado di fare tu e basta. Di solito scalo più in cordata, ma mi piace la solitaria.

Però poi, scrivi anche che avevi bisogno di “condividere la solitudine provata in parete”. Non ho capito, hai bisogno di metterti alla prova da solo, ma soffri la solitudine?
È che secondo me l’obiettivo finale è sempre il confronto, se no le cose non hanno nessun senso. Se non ti confronti con un’altra persona o con altre salite, la tua stessa salita non la puoi più definire.

I ragazzi di BAL (Photo sarocosta.blogspot.it)
I ragazzi di BAL (Photo sarocosta.blogspot.it)

Solitarie ma anche e soprattutto invernali…
La scelta dell’invernale aggiunge un elemento in più alla salita, aumenta il livello delle difficoltà. Devi prendere più decisioni, è più impegnativo. Ci sono più elementi contro: il freddo, il buio, la neve. La difficoltà rende le cose più interessanti.

Più volte sul tuo blog  parlando del Cai sostieni che non aiuta i giovani alpinisti, che sarebbe bello se assomigliasse più al Club Alpino Inglese per esempio. Ci spieghi che Cai vorresti?
La mia esperienza con il Cai è quasi nulla: a 15 anni sono andato in giro solo per un anno con il gruppo giovanile, e facevamo passeggiate, non c’era niente di alpino. Durante il corso ho trovato un socio e abbiamo iniziato ad andare in giro da soli, non ho mai fatto un corso di alpinismo con il Cai. Adesso oso un po’: per quello che posso vedere, il Club Alpino italiano non è né un’associazione alpinistica – se mai più escursionistica – né assolutamente giovane. Certo, so che organizzano molti corsi con i ragazzi, ma a livello un più alto non aiutano i giovani. Se io volessi andare a scalare fuori dalle Alpi e volessi chiedere un aiuto al Cai, non lo riceverei. Parlo di finanziamenti, ma non solo: manca proprio l’idea di sostenere i giovani e formarli. Mi piacerebbe un Cai più sul modello sloveno o britannico. Conosco due giovani universitari per esempio, che hanno scalato la via Cassin al Denali durante le loro vacanze estive e che hanno potuto fare il viaggio grazie al sostegno del British Mountaineering Council. Da noi una cosa così è impossibile.

Per sopperire a queste mancanze istituzionali tu e Tito Arosio avete pensato di organizzare il primo raduno BAL – Bocia Alpinisti Lombardi. Ci racconti come è andata?
L’idea mi è stata proposta all’inizio dal mio socio Tito, poi l’abbiamo pensata e realizzata insieme. Lui ha avuto occasione di partecipare alla Mountain Academy e a seguito di quella esperienza abbiamo pensato di fare qualcosa di simile. Abbiamo organizzato una due giorni in cui siamo riusciti a radunare 15 ragazzi e in cui abbiamo trascorso il tempo scalando insieme. Lo scopo era quello di incontrarsi, mettere in contatto giovani alpinisti, conoscere nuove persone con cui scalare: è sempre un po’ questo il problema dei giovani, trovare coetanei con cui arrampicare e andare in giro. Di solito si scala con uno o due soci, magari con qualcuno più vecchio di te.

Saro Costa (Photo sarocosta.blogspot.it)
Saro Costa (Photo sarocosta.blogspot.it)

Nel racconto del raduno dici: “vogliamo scalare le montagne, non ci interessa uno scantinato pieno di prese di plastica, non ci basta arrampicare in falesia, le gare non fanno per noi”. Cosa non ti piace delle palestre?
In realtà non è che non mi piacciano, però non mi bastano. Ci vado anche io in palestra, ma non può essere sufficiente, non è quello l’obiettivo. Puntiamo più in alto, all’alpinismo assolutamente.

E delle gare?
Non hanno niente a che fare con il mondo dell’alpinismo. L’alpinismo non può essere considerato come lo scialpinismo o una corsa. Qui non ci sono regole, né regolamenti, né campi di gioco o tempi. Le gare non hanno senso.

Da giovane alpinista, vorresti che “i vecchi” del mestiere si prendessero più cura di voi?
Sicuramente gli scambi ci sono già. Anzi solitamente le cordate sono composte da un alpinista più giovane e da uno più esperto. Sicuramente è indispensabile poter imparare dalla loro esperienza.

Nel tuo blog citi Mark Twight. Twight ha affermato in passato di avere scelto l’alpinismo come via di fuga alla “stupidità e alla mediocrità” e, in un certo senso perfino al suicidio. Cosa ti accomuna a questo alpinista?
Sicuramente l’idea della mediocrità che vedo anche io nella vita di città. La montagna è per me come un’ancora che mi aiuta a non cadere nel “ciclone” Milano. Se mi fosse piaciuto andare in barca a vela probabilmente sarebbe la stessa cosa, ma a me piace arrampicare.

Anche tu quando scali ascolti la musica come Twight?
Mah, a dire il vero mentre arrampico o scio non ci riesco. Ho provato a fare come lui, ma non è andata bene. Però certo, la musica è fondamentale nella vita.

Un tuo post si conclude con il motto: ”Nel dubbio, osa”. Perché?
Perché nel dubbio non hai niente da perdere ad osare, hai solo da guadagnare. Certo non bisogna farlo in modo stupido, ci deve essere sempre dietro un ragionamento. Se osi da stupido ti va bene una, due o tre volte, ma prima o poi va male.

 

 

Foto http://sarocosta.blogspot.it/

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5 Commenti

  1. Caro Saro, non mi sembra giusto criticare una realtà come quella del CAI che a quanto pare non conosci. Il CAI offre corsi per principianti, sia per i giovanissimi che per i meno giovani, e corsi avanzati. Il CAI fornisce informazioni a chi é interessato ad esplorare un mondo nuovo tramite i suoi manuali, biblioteche e soci con vasta esperienza, competenze e voglia di condividere. Il CAI fornisce un’assicurazione senza costi aggiuntivi a chi vuole fare una spedizione all’estero. Tramite i suoi corsi il CAI permette di incontrare persone con interessi simili e nella stessa fascia di età per poter praticare l’alpinismo in sicurezza ed in compagnia.
    Sicuramente un percorso come il tuo, al di fuori del CAI, può essere valido e permettere di diventare guida alpina e compiere imprese di alto livello, ma per chi non ha la fortuna di avere una famiglia o degli amici che gli permettono di esplorare la montagna, il CAI, con i suoi pregi e difetti, gli offre l’opportunità di imparare a godersela. Io mi ritengo fortunata e privilegiata a vivere in un paese che ha un’istituzione come il CAI. Il CAI evolve sempre e se hai suggerimenti per ampliare le sue competenze ed attività contatta una delle sue sedi, sono certa che spirito di iniziativa e buona volontà saranno ben accolti. Tutte le attività svolte dal CAI si basano sul volontariato.

  2. Condivido quanto detto da Saro. Io faccio parte della grande famiglia del Cai, ma avendo parecchi amici guide alpine, posso dire che ho imparato più da loro che andando via col Cai e anche come mentalità ed opportunità le guide sono più disponibili professioanli. Inoltre non fanno cerchio chiuso come certe persone del Cai, e anche qui conosco parecchia gente, ma se non sei al loro livello oppure hai idee troppo faticose scomode non sei considerato, quindi logica la soluzione di andare da soli.
    Purtroppo anche per le ragazze è così ed è capitato anche a me quando ero più giovincella, e ora che comunque ho un pò di esperienza in più maturata anche in giro per le montagne del mondo, ancora trovo chiusura mentale verso i giovani e le femmine.

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