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Da Polenza: Chamonix invasa per l’Ultra Trail: questa è la montagna che vince

Chamonix invasa per l'ultra trail
Chamonix invasa per l’ultra trail

CHAMONIX, Francia — 50 forse 100 mila. Ma che importa il numero esatto. Questa non è certo una guerra mediatica di cifre tra manifestanti e questura. È invece una manifestazione ludica, un evento sportivo formidabile, emozionante, travolgente, è l’ Ultra Trail. Non una gara, ma quattro gare di corsa in montagna, attorno al Monte Bianco, nel corso di tre giorni.

Chamonix, che di per se è già una città, si è riempita come un uovo di ragazzi e ragazze di ogni età, anche avanzata, pronti a correre fino a 180 chilometri, a salire fino in cima all’Everest tanto è il dislivello complessivo in salita da superare. Sono quasi 7000, atleti e non. Vengono da decine di paesi diversi, accompagnati da morose, mogli e mariti, fratelli, amici e tifosi.

Che importa se erano 50 o 100 mila, hanno riempito la città di Chamonix di colori, suoni entusiasmo, allegria, tensione e azione, passione, clienti.

Che Dio li benedica e benedica chi si è inventato questa splendida gara. Ci ha aperto gli occhi e il cuore in giornate che hanno chiuso l’estate facendo precipitare le temperature, ma non la voglia di correre, di salire passi, di sfidare una natura diventata improvvisamente ostile, non certo nemica. Una sfida dei muscoli, del cervello ma soprattutto del cuore.

Ero alla partenza e la gente era veramente tanta, mezzora prima dello start tutte le sedie e i tavoli dei bar e ristaranti lungo il percorso sono state assaltate dai tifosi, oggi tutti fotografi, che ci sono saliti sopra con l’assenso paziente e benevolo e preoccupato dei gestori. A volte l’entusiasmo travolgente della folla va con intelligenza assecondato. Ne guadagnano l’immagine e il businness. E qui, il senso di entrambi è forte.

Questa è una montagna che vince, che ha idee, che ha coraggio, ama le sfide. Nazional popolare, nel senso che c’è posto per tutti, tutti possono fare qualcosa senza troppo disturbare, anzi, tutti hanno un certo senso del buon senso, della tolleranza. Una città aperta e per niente snob, che forse non fa passerella come i nostri “centri” montani, ma una montagna che coniuga con un certo equilibrio gli interessi di tutti, dei locali, dei turisti e anche della natura. Credo anche anche quelli dello stato, il cui senso i francesi ce l’hanno forte, anche senza bliz punitivi.

In Marmolada, ci informa internet, intanto in questi giorni litigano tutti contro tutti per decidere se mettere quattro teli che mantengano ancora un po’ in vita il ghiacciaio. Forse non una soluzione definitiva, di certo un’azione che denota attenzione, al ghiacciaio e al marketing. Ma litigano e il ghiaccio si scioglie mentre il marketing é silente.

Non sono provincialmente esterofilo, so che il Mezzalama e la Marcialonga li abbiamo inventati noi, che il Melloblocco é roba nostra, e prima ancora il trofeo Kima e molte altre importanti manifestazioni sportive. Certo che lo so. Mi chiedo perché le buone da noi languono, mentre altri le adottano con successo, senza pagarci i diritti ovviamente.

Quest’immagine è realtà di oggi, di Chamonix invasa e sotto una pioggia battente quanto inutile a fine depressivi, di una montagna giovane, forte e vincente, sostentata dalla gente e dagli amministratori, in tempi di tempesta e spread al rialzo. Mi interessa. Mi fa pensare che ci sono non solo nicchie da conoscere ma intere catene montuose da esplorare, da valorizzare e rendere produttive. Che c’è gente, tanta, che ha voglia di sfide e non sono tutti cinesi, indiani o vietnamiti. Ma la gente di montagna, che ama la montagna e con la sua asprezza e durezza come la sua generosità, deve tornare ad un pensiero montanaro. Fatto di essenzialità, sobrietà ma senza nulla negarsi dei vantaggi dello sviluppo e del benessere a partire dall’istruzione, dal lavoro, la salute, la cultura, lo sport, cose che devono manifestarsi come concrete, vere, solide. Costruire il futuro delle montagne è possibile con logiche low e green, ma anche correndo attorno al Monte Bianco e riempiendo alberghi e locali in questo fine stagione già troppo freddo.

Leggevo in questi giorni passati a Chamonix alcuni articoli sul periodico della Cipra, la piú importante agenzia europea che da sempre studia e segue lo sviluppo sostenibile delle Alpi e delle montagne del mondo. Non mi ha sorpreso la revisione profonda rispetto al concetto e ai dogmi ideologici e sociologici riguardo la “governance” dei territori montani. Finalmente la specificità territoriale, naturale, umana, culturale e politica nonché economica è stata riconosciuta e considerata fondamentale nella determinazione delle politiche in favore dei territori montani e delle popolazioni che ci vivono.
Non ci sono modelli precostituiti e generali da applicare e questo vale a maggior ragione per le aree montane, le meno omegenee sia in orizzontale che in verticale. Una specie di diritto all’autoderminazione del proprio modello di sviluppo, la conquista della consapevolezza che l’esperienza di vita e il buon senso delle popolazioni locali vale almeno quanto il sapere delle università e degli esperti delle città.

Il modello Chamonix e la Cipra mi sembra ci indichino che sulle nostre montagne dobbiamo cercare di decidere piú noi e meno i politici e venditori di ideologia e saperi e talvolta di fumo e odio, che vengono nelle valli a insegnarci cosa e come fare. Vedremo,le occasioni sono prossime.

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Un commento

  1. Con amore, attenzione e impegno si possono ottenere grandi risultati. Da noi, forse, mancano spesso solo la sinergia e l’organizzazione.

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