VIENNA, Austria — Era andato al Cerro Torre liberare la Via del Compressore, e invece se n’è tornato in Europa lasciando in parete dozzine di chiodi e corde fisse installate dalla troupe che avrebbe dovuto filmare l’ascensione. Questa l’accusa che due mesi fa ha travolto la spedizione di David Lama e del suo compagno Daniel Steuerer. Ma il giovane talento dell’arrampicata non ci sta. E ora risponde per iscritto ai suoi detrattori: “E’ facile parlare quando non sei responsabile di vite altrui”.
La spedizione incriminata risale allo scorso inverno: Lama e Steuerer volevano compiere la prima salita in libera della via aperta da Cesare Maestri nel 1970. Ma di fatto, ha aggiunto corde e chiodi alla già tormentata via del Cerro Torre, per assicurare gli operatori voluti dalla Red Bull per filmare l’ascensione. Si parlava di 60 nuovi chiodi e 700 metri di corde fisse abbandonate.
Lama ha risposto ufficialmente alle polemiche suo suo sito personale, con una lettera che è stata poi diffusa da Alpinist.com, sito che per primo mesi fa aveva raccolto le accuse di alcune guide argentine e dell’alpinista Rolando Garibotti.
“Dopo i miei progetti in Dolomiti e sul Mont Bianco e le gare a Chamonix ed Arco, voglio raccontare le cose dal mio punto di vista – scrive Lama -. A dicembre un mio amico mi ha dato l’idea di salire la via del Compressore in libera, e per me è diventata una visione. Ma siccome è una spedizione costosa, sono stato felice che la red bull abbia voluto essere mio partner, decidendo di fare anche un film”.
“Sapevamo che non sarebbe stato facile – prosegue l’alpinista -, e che avrebbe dovuto filmare qualcun altro e non io che avrei potuto e dovuto solo concentrarmi sulla scalata. Così tre guide sono state incaricate di guardare alla sicurezza degli operatori. Era compito loro. Io mi sono solo preoccupato che la cosa non interferisse con altre salite lungo la via. Così le guide hanno pensato di mettere delle fisse fino al colle, ma la maggior parte dei chiodi che hanno piantato, poco più di 2 dozzine, era fuori dalla linea della via”.
“Per noi era importante lasciare la montagna pulita – precisa il climber – difatti abbiamo tolto anche delle vecchie corde dalla parete. Volevamo togliere anche con le nostre ma le forti nevicate hanno reso impossibile il recupero. Per questo abbiamo assunto delle guide argentine che se ne occupassero all’arrivo del bel tempo”.
Era stata proprio una di quelle guide assoldate per pulire la parete, Horatio Graton, ad accusare che fossero stati piantati 60 chiodi. Accusa rincarata poi da Garibotti, che ha dichiarato che i chiodi erano praticamente sulla via.
“Le polemiche mi hanno fatto pensare – dice Lama -. Ma è facile parlare quando non sei responsabile di vite di altre persone che lavorano per te. Film e foto sono parte dell’alpinismo professionale e anche della mia vita. Ne ho accettato le conseguenze e sono d’accordo con la Red Bull per la produzione. Comunque se non sarà possibile girare il film, non cambierò il mio piano di liberare il Cerro Torre”.
Questione risolta? Tutt’altro. Nel mondo dell’alpinismo, a partire dal sito della rivista Alpinist, si è già scatenata un’altra bufera di commenti e polemiche sull’annosa questione di chiodi, etica e sicurezza che da decenni tormenta l’alpinismo.
Info www.david-lama.com, www.alpinist.com/doc/web10x/newswire-lama-speaks-compressor.