Montagna.TV

Allenarsi in quota migliora le performance: realtà o illusione?

Corsa in montagnaOXFORD, Gran Bretagna — Allenarsi in alta quota può davvero migliorare le performance sportive? Pare di no, cari lettori. Perchè se da un lato stimola la produzione di globuli rossi dando una specie di “effetto dopante”, dall’altro rende i muscoli molto meno efficienti nell’utilizzo di energia. Lo svela un articolo apparso oggi sulla prestigiosa rivista scientifica americana “Proceedings of the National Academy of Sciences” e firmato da Federico Formenti e Peter Robbins dell’Oxford University. Formenti, fisiologo, è un collaboratore del Comitato EvK2Cnr.

Che la quota migliori le performance è una credenza comune. Molti atleti di discipline aerobiche che lavorano sulla resistenza programmano una parte del loro allenamento annuale in quota. Lo fanno i ciclisti, e ultimamente anche i proprietari dei cavalli da corsa che fanno respirare aria con ridotta concentrazione di ossigeno ai propri animali per simulare l’alta quota. Diverse nazionali di calcio hanno voluto fare training sulle Alpi prima dell’inizio del Mondiale, anche se il loro scopo non era tanto “rafforzarsi” quanto “abituarsi” alle condizioni che avrebbero trovato in Sudafrica.

Ma tutti questi sforzi, sono effettivamente utili o sono soltanto una perdita di tempo? Purtroppo, la scienza sembra dimostrare che il collegamento tra quota e performance è molto labile. L’effetto positivo dell’ipossia sui globuli rossi esiste, ma dura molto poco ed è contrastato da una minore efficienza muscolare.

Lo sostengono Formenti e Robbins, autori della ricerca di cui parla oggi la rivista Pnas. I due ricercatori, hanno studiato un gruppo di pazienti affetti da una mutazione genetica (naturale) che determina nelle cellule del corpo l’accumulo del fattore inducibile dall’ipossia (Hif), che e a sua volta causa una serie di cambiamenti metabolici, alcuni dei quali sono stati mostrati dal loro studio. Sottoponendoli a diversi tipi di sforzo, hanno osservato che in effetti l’ipossia induce, ad esempio,  la produzione di Eritropoietina, meglio nota come Epo, che accresce la produzione di globuli rossi, le cellule che trasportano ossigeno. Si tratta dunque di un effetto dopante “naturale”, che per qualche tempo migliora la capacità di sostenere lunghi e faticosi sforzi aerobici.

Allo stesso tempo, però, in stato di ipossia, il corpo deperisce. In particolare, cambia il modo con cui i muscoli usano l’energia: diventano meno efficienti, per esempio c’è maggior accumulo di acido lattico. E questo va a svantaggio della performance fisica. Quindi solo un’esposizione molto limitata nel tempo all’ipossia può migliorare la performance. Quanto? I due ricercatori cercheranno di rispondere a questa domanda proseguendo la loro ricerca. “Finchè il dosaggio utile “di alta quota” non sarà noto – dicono – gli altleti possono solo essere certi che sulle Alpi troveranno soltanto dei gustosi strudel”.

“Con questo studio abbiamo imparato molto in merito all’effetto dell’ipossia sul metabolismo umano – spiega Formenti -. Fino ad oggi, questi effetti potevano solo essere speculati sulla base di esperimenti a livello molecolare, cellulare o in modelli animali. Noi, invece, abbiamo usato come “modello” questa mutazione genetica umana, molto diffusa nella regione russa della Chuvashia. Non tutte le speculazioni nate dagli altri studi sono state confermate dal nostro lavoro, rendendolo particolarmente sorprendente. E’ importante notare, inoltre, che questi risultati aiuteranno a sviluppare una migliore cura medica di qualsiasi malattia che determini un’alterata ossigenazione del nostro corpo”.

Scarica l’articolo completo cliccando qui http://www.pnas.org/papbyrecent.shtml

Exit mobile version