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Le mie montagne: di Bocca o Bonatti?

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BERGAMO — Boom, boom. Un colpo alla destra, una "stilettata" alla sinistra. A 50 anni di distanza, il dibattito sulla Resistenza, il movimento di liberazione dal nazifascismo che è partito dalle montagne del nord Italia, fa sempre rumore. Soprattutto se sul ring salgono due pesi massimi del giornalismo italiano: Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa, autori di libri diametralmente opposti sull’argomento. 

E così accade che alla presentazione de "La grande bugia", Pansa venga aspramente contestato da giovani dei centri sociali. Motivo? "La grande bugia" riassume il dibattito scatenato negli ultimi 3 anni da «Il sangue dei vinti». E accusa la sinistra italiana di aver costruito sulla Resistenza un falso mito, nascondendo le vendette compiute dai partigiani sui fascisti dopo la Liberazione.
 
Si tratta di tesi che attaccano frontalmente la storia del movimento partigiano. E che hanno coinvolto anche nomi celebri del giornalismo italiano come sua Maestà Giorgio Bocca, padre del giornalismo schierato a sinistra.
 
Nel suo libro, Pansa lo definisce "un’antifascista d’acciaio che prima di fare il partigiano è stato un fascista scaldato e un razzista antisemita". Per dirla in una parola sola, "l’uomo delle contraddizioni".
 
Beh, lasciamo agli storici il giudizio. Certo è che il prossimo libro di Bocca, che tratta lo stesso argomento, ha un titolo già sentito. Ebbene, il volume edito da Feltrinelli che sarà in uscita il prossimo 26 ottobre si intitola "Le mie montagne". Esattamente come il libro più famoso e venduto della storia alpinismo italiano: "Le mie montagne" scritto da Walter Bonatti e edito da Zanichelli nel 1961 (nella foto sopra).
 
Bocca, stando alle anticipazioni, torna al racconto della “patria alpina”. Alla provincia incastonata tra le montagne da cui proviene, dove si mettono alla prova gli uomini e le idee. Racconta gli antifasciti piemontesi, il rapporto con i valligiani nella Guerra di Liberazione. E le montagne amatissime in cui ha passato la sua giovinezza di forte sciatore e che sono ora anch’esse vittime dell’industrializzazione, trasformate in palestre meccanizzate per il tempo libero. In tutto questo ben di Dio, speriamo che almeno si sia ricordato una citazione per il povero Bonatti,  da cui ha preso "in prestito" il titolo del libro. 

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