Storia dell'alpinismo

Sarmiento 1986, il racconto di Tore Panzeri

parete nord del Sarmiento
Salita alla nord del Sarmiento (Photo T. Panzeri)

BERGAMO – Sono arrivati laggiù su una nave militare cilena. Hanno messo il campo base sulla spiaggia, dove per un mese, inseguiti dal maltempo, hanno fatto colazione con cozze giganti. Poi si sono aperti un varco, a suon di roncole, nella giungla di faggi magellanici e hanno attaccato la parete. Nebbie improvvise, neve instabile che costringeva ad una “progressione come su sacchi di farina” e un enorme fungo di ghiaccio hanno provato a fermarli, ma loro hanno vinto. Nelle parole di Tore Panzeri il racconto della prima salita al monte Sarmiento, nella Terra del Fuoco, compiuta dai Ragni di Lecco nel 1986. Imperdibile.

“La spedizione al Sarmiento è stata organizzata dal gruppo Ragni in occasione del quarantesimo anniversario – racconta Panzeri -. Su questa montagna c’era già stato Carlo Mauri nel 1956 con Clemente Maffei e insieme avevano salito la cima Est per la prima volta in assoluto. Non eravamo gli unici. Mentre noi partivamo per il Sarmiento, altri Ragni salpavano per l’Aiguille Poincenot, dove c’era anche mio fratello Mario, e altri ancora per le Torri del Paine.

A quei tempi frequentavo molto Bruno Penati, Lorenzo Mazzoleni e Pinuccio Castelnuovo in montagna. Abbiamo scelto il Sarmiento insieme: forse tecnicamente era meno difficile, ma a livello d’avventura era molto più intrigante. Non è che dicevi: “andiamo al Sarmiento” prendevi l’aereo e ti trovavi lì. Era complicato, lo è ancor oggi, anche Jasper e compagni l’hanno dovuto raggiungere in barca a vela.

Al Sarmiento non si può arrivare da terra. Si trova nel canale della Magdalena, che scende da Punta Arenas: dove c’è il monte fa una curva verso ovest. Lo percorrono le navi da crociera che vanno a capo Horn o verso l’Antartide. Ricordo che dal campo base, sulla spiaggia, le vedevamo passare con le luci e la musichetta.

Noi abbiamo avuto la fortuna di appoggiarci a un vice console onorario che c’era a Punta Arenas, Nello Stefani. E’ una zona franca, tipo Livigno da noi, lui era emiliano ma emigrato li per lavoro con la famiglia. Ci ha messo in contatto con la marina cilena che passa con la nave da questi canali per dare il cambio alle postazioni militari presso i fari.

A bordo ci hanno permesso di guardare fuori solo per una piccola parte della navigazione, per il resto abbiamo dovuto stare sotto coperta perché erano posti da segreto militare. La nave, grossa con tanto di piazzola per l’elicottero, non poteva arrivare fino alla spiaggia così ci hanno fatto fare lo sbarco sui gommoni, come nei film.

Ci siamo stati un mese di fila su questa spiaggia. Sei sul mare, vicino al Polo Sud, c’è sempre vento e pioggia, il bel tempo lo vedi arrivare, dura un’ora e poi per una settimana sparisce. Abbiamo iniziato a perlustrare i dintorni per arrivare alla montagna. Bisogna attraversare una foresta – anzi una giungla – di faggi magellanici, che sono come i nostri ma fittissimi e altissimi. Abbiamo aperto il sentiero con le roncole…

Per la salita noi ci siamo basati molto sui racconti di Giuseppe Agnolotti che con il Cai Bardonecchia ci era stato nel 1969, 1971, 1972. Abbiamo trovato alcune loro bandierine nella foresta. Avevano scritto un libro, Sarmiento l’inferno bianco, che ci ha permesso di farci un’idea. Poi avevamo foto che aveva fatto nel 1913 Padre de Agostini, uno dei primi esploratori di quelle zone, tra l’altro capo della spedizione di Carlo Mauri e Maffei nel 1956, dove c’erano anche Luigi Carrel e Luigi Barmasse.

I campi in salita li abbiamo fatti ma non servivano. La cima più alta è di 2.404 metri, secondo Padre de Agostini. Un dislivello che puoi fare tranquillamente in giornata, ma abbiamo messo alcune tende in parete, quando salivamo per guardarci in giro in attesa del bel tempo.
Le difficoltà tecniche iniziano dove inizia la linea nera di salita nella foto: oltre la crepaccia terminale,  si attacca la parete nord, e poi si sale in cresta. Prima, è solo difficile orientarsi per la nebbia e faticoso camminare per l’enorme quantità di neve. Le difficoltà diventano massime nel superamento del fungo di ghiaccio, una tipica formazione di quelle zone, che si trovava poco dopo il raggiungimento della cresta.

E’ una neve stranissima, quella che trovi laggiù. E’ l’umidità dell’oceano che viene portata lì dal vento e si appiccica sulla montagna: c’è una crostina di neve sottilissima e dentro è polvere. Affondi continuamente, è tutto instabile. Qualsiasi cosa piantavi, piccozze, ramponi, si svuotava tutto sotto il colpo. Era come progredire su sacchi di farina. Sul fungo, però, ho trovato un inizio di fessura e lì ho deciso di scavare un tunnel. Mi sono ricordato dei racconti di altri che erano stati in Patagonia, anche Casimiro Ferrari me lo diceva, che per superare questi funghi, piuttosto che “ravanare” era meglio scavare un buco e uscire dall’altra parte. Ho fatto lo stesso ed è andata.

Siamo arrivati in cima alle 20 del 24 dicembre. In cima eravamo io, Lorenzo, Bruno, Pinuccio e Gianmaria Confalonieri, che era il nostro medico: allora si allenava a mettere punti, ora è un chirurgo molto rinomato a Lecco. Gli altri erano al base: Gigi Alippi, Clemente, Franco Baravalle, un dottore farmacista, Antonio Aguilar, che era un capitano dell’esercito cileno: un mese fa è venuto a Lecco a trovarci, ora è un generale. Poi c’erano due operatori della Fininvest che hanno filmato la spedizione per la trasmissione “Jonathan” di Ambrogio Fogar, ma sono rientrati prima della cima con un minuscolo peschereccio dove hanno sofferto un mal di mare incredibile.

In cima è stato stupendo. Ricordo che all’attacco della parete nord abbiamo ricevuto, via radio, la notizia che mio fratello Mario, Paolo della Santa, Daniele Bosisio e Paolo Vitali avevano salito la via nuova sulla Poincenot. Dal campo base si erano riusciti a collegare con una signora di Punta Arenas che, sempre tramite radio, aveva parlato con l’Italia. A quel punto abbiamo detto: sarà meglio che andiamo su anche noi, se l’han fatta loro…

Quel giorno è stato l’unico bello, a parte delle entrate improvvise di nuvoloni di nebbia che ci hanno subito disorientato nella discesa, di notte. Le impronte non c’erano, si cancellavano subito. Avevamo finito le batterie delle pile frontali e abbiamo usato gli strumenti da soccorso notturno che si accendono per sfregamento. Non capivamo quanto ci mancava a scendere, ci sembrava corta, anche nella foto sembra corta, ma non lo è per niente. Tant’è che a un certo punto ci si sono incastrate le corde e abbiamo deciso di proseguire senza, pensando di essere ormai in fondo. Invece eravamo a metà, e abbiamo dovuto arrangiarci con corpi morti come fittoni di alluminio, bastoncini da sci, piccozze, insomma alla fine non avevamo più niente, sembrava la ritirata di Russia. Poi per fortuna sono tornate le stelle e alle 8 circa della mattina di Natale siamo arrivati in spiaggia. In 24 ore non stop siamo saliti e scesi.

Che festa. Maffei era bravo cuoco, Alippi anche, gestiva un rifugio… polenta, gnocchi, e delizie a volontà. Tra l’altro avevamo portato tantissima roba da mangiare perché ci avevano detto che sarebbero arrivati dei pescatori con cui avremmo potuto fare baratti. Avevamo damigiane e damigiane di “vino blanco” o “tinto”… ci avevano detto: servirà per gli scambi. Invece non si è mai visto un peschereccio e noi eravamo pieni di scorte!

Ricordo anche che mentre eravamo in alto c’è stata una mareggiata fortissima che ha rischiato di portare via le tende. Quando sono sceso non trovavo più il campo perché l’avevano spostato più all’interno, nei cespugli. E dopo abbiamo fatto le barricate con sassi e legni per tentare di fermare il mare…cosa che sembra un po’ assurda ma è così…

La mattina poi, ci alzavamo facevamo sempre un giro sugli scogli dove c’erano delle cozze, enormi, grandi 10 volte tanto le nostre. Avevamo il limone e le mangiavamo per colazione, crude. Erano buonissime.

E’ stata una bellissima avventura. Dal punto di vista tecnico le vie aperte dagli altri Ragni sulla Poincenot e sulle Torri del paine sono vie eccezionali, la nostra sicuramente è tecnicamente di livello minore. Ma come avventura, è stata incredibile”.

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