A tu per tu con Simone Moro in partenza per il Manaslu: un amore infinito, ma non cieco
L’alpinista bergamasco cercherà di raggiungere finalmente la vetta dell’ottava montagna del mondo dopo sei tentativi andati a vuoto. Rigoroso stile alpino, solo Nima Rinji Sherpa come compagno di spedizione e nessuna intenzione di prendersi rischi esagerati

“No, non è corretto parlare di ossessione. Per carattere devo chiudere i cerchi e farlo a modo mio”! Così Simone Moro anticipa le domande nel corso della conferenza stampa organizzata nella sede di Garmin Italia alla vigilia della sua partenza per il Manaslu, che tenterà di salire con il giovanissimo Nima Rinji Sherpa.
Quella tra l’alpinista bergamasco e l’ottava montagna più alta del mondo in veste invernale è infatti una storia lunga: questo che sta per iniziare è infatti il settimo tentativo. Per cinque volte Moro è stato respinto dal meteo impossibile, in un’altra occasione “è stato un attacco di dissenteria a bloccarmi. E proprio allora c’erano tutte le condizioni favorevoli, e non a caso i miei compagni di spedizione raggiunsero la vetta”, si rammarica Moro.
Tra i giornalisti si dice che “Moro dà sempre un titolo” come a sottolineare il carattere di un alpinista senza filtri. E anche questa volta gli spunti non sono mancati.
Cosa significa per te “stile alpino”?
Partire dal campo base con la tendina nello zaino, montarla ogni sera e smontarla il mattino successivo in vista dello step successivo: niente rotazioni o campi intermedi già pronti. Poi naturalmente niente sherpa, niente corde fisse. In passato anch’io ho effettuato salite con questi aiuti, ma sono cambiato. Adesso la mia visione è questa. A qualunque costo. Riuscire a salire il Manaslu con queste modalità mi consentirebbe anche di dire di aver effettuato un’altra prima assoluta, almeno per quanto riguarda lo stile in questo periodo”.
A proposito di calendario: hai sostenuto, con vigore, che per essere considerata invernale una salita non può iniziare prima del 21 dicembre. La pensi ancora così?
Certamente, l’inverno astronomico inizia il 21 dicembre. Diversi alpinisti cercano di far valere il Meteorological winter, ma è una furbata: nelle prime settimane di dicembre il meteo è statisticamente più favorevole, le ascensioni sono facilitate. Sono convinto che se avessi adottato l’inverno meteorologico (che inizia 1 dicembre) avrei salito molti altri Ottomila nel cosiddetto inverno, probabilmente tutti.
Per quanto mi riguarda anche questa volta raggiungerò il campo base del Manaslu solo il 21 dicembre e farò altrove il necessario acclimatamento”.
Anche il Manaslu è cambiato?
Sì, e parecchio. Il Climate change ha inciso profondamente sulla montagna. Tanto ghiaccio in meno significa che al pericolo delle slavine si aggiunge il rischio di caduta pietre, non più sigillate alla parete. Ma soprattutto è il ghiacciaio alla base della parete che mi preoccupa, si sono aperti crepacci larghissimi, ci sarà da girare per trovare i passaggi, senza considerare che molti crepacci saranno coperti dalla neve di stagione. Un’insidia in più. Da questo punto di vista mi sentirò tranquillo solo dopo aver raggiunto il Campo 2”.
Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
“Anche se in questo momento sto parlando in casa Garmin, deve essere chiaro che la tecnologia non porta in vetta. Però è indispensabile e spesso ti aiuta a tornare a casa indenne, soprattutto nelle situazioni di whiteout. Poter seguire a ritroso la traccia percorsa in salita quando non c’è visibilità può essere decisivo per la sopravvivenza. Diciamo che in generale serve più a chi mi segue da casa o a chi eventualmente deve effettuare un soccorso (e non è poco). Tecnologia e fattore umano possono solo essere affiancati, gli attuali strumenti non sostituiscono l’esperienza maturata sul campo. In fondo dopo 121 spedizioni in Nepal qualcosa posso dire di avere imparato. Ma gli strumenti integrano il fattore umano in modo molto utile, non se ne può fare a meno.
Cosa c’è di antico nel tuo alpinismo himalayano?
Antico forse non è la parola giusta, però… Innanzitutto la pazienza. Sapere aspettare il momento giusto per non correre rischi inutili è un’arte che ho riscoperto. Oggi in molti hanno fretta, partono dal campo base anche se non ci sono le condizioni giuste perché in qualche modo lo devono fare spinti dagli sponsor, dalle aspettative di chi li segue, dal loro stesso ego. A volte sono spinti anche dalla scadenza del biglietto aereo di ritorno. Io questa volta ho comprato solo il biglietto di andata, una scelta che mi libera da una pressione in più.
Poi mi porto ancora dietro un mazzo di bandierine rosse per tracciare la via nei tratti più delicati, soprattutto per segnare i crepacci e il punto dove passare. Infine il cibo: non riesco a nutrirmi esclusivamente di liofilizzati o prodotti da astronauta, quindi mi porto dietro anche tortellini, dadi e grana.
Cosa ti aspetti da questa spedizione?
Tutto e niente. Ovvero, se sarà è possibile vorrei raggiungere finalmente la vetta, altrimenti pazienza. Però se le condizioni – mie e meteo – fossero perfette non escludo di provare a salire anche sul Pinnacle East del Manaslu. E’ bellissimo e invitante, ed è stato salito una sola volta d’estate, mai d’inverno solo perché misura appena 7.996 metri. Chissà.




