Annapurna 1950: misteri svelati (2)
Pochi sanno che i membri di quella spedizione avevano le mani legate da un contratto di ferro, che impediva loro di raccontare o pubblicare qualsiasi racconto sulla salita dell’Annapurna nei cinque anni successivi alla salita, tempo nel quale si affermò la storia di Herzog. Lachenal, rimasto nell’ombra, preparò però i suoi diari, che avrebbero dovuto essere pubblicati nel 1956. Qualche mese prima, però, l’alpinista rimase ucciso in un crepaccio del Monte Bianco, durante una discesa dalla Vallèe Blanche.
Herzog si prodigò immediatamente per la famiglia di Lachenal. Curò i suoi figli, gli insegnò ad andare in montagna. E diede incarico a suo fratello Gerard di pubblicare i diari di Lachenal: cosa che venne fatta, ma non in maniera integrale. Lachenal raccontava la storia nuda e cruda. Raccontava i problemi e le incomprensioni tra gli alpinisti, senza mitizzazioni.
“Mentre salivamo, entrambi sentivamo la quota – racconta per esempio Lachenal nei suoi diari -. Ho chiesto Maurice cosa avrebbe fatto se io fossi sceso. Ha detto che bisognava continuare, ad ogni costo. Io non sono qui per giudicare le sue ragioni, l’alpinismo è una cosa personale. Ma ho pensato che, se avesse continuato da solo, non sarebbe ritornato. Per lui e per lui solo non sono tornato indietro. Questa vetta non è stata una questione di prestigio nazionale, è stata solo un’affare di cordata”.
Tutte queste parti vennero censurate, con il beneplacito del presidente del Club alpino francese Lucien Devies. Il libro che ne uscì, “Carnets du vertige”, era sulla stessa linea di quello di Herzog e piuttosto lontano dallo scritto originale di Lachenal. Solo nel 2000, dietro varie insistenze dell’editore Maurice Guerin, i figli di Lachenal assecondarono la pubblicazione dei diari integrali del padre. Prima non ne volevano sapere, forse per riconoscenza verso Herzog. Fu così che uscì “Carnets du Annapurna”, alias “True Summit: What Really Happened on the Legendary Ascent on Annapurna”, curato da David Roberts.
Da allora, la salita del 1950 venne vista sotto una luce diversa. Su Herzog scese l’ombra di un opportunismo e un’ambizione sfrenata che facevano leggere ogni sua azione come maschera per intenti politici. Sotto accusa la sua ambizione, per la quale avrebbe messo in pericolo la vita sua e del compagno, e la sua direzione della spedizione, spesso giudicata inadeguata e inefficace dai suoi compagni. Per esempio, in occasione della rinuncia al Dhaulagiri, dove Herzog subì un vero e proprio ammutinamento quando si impuntò a voler metter delle corde fisse in un luogo pericoloso.
Maurice Herzog, oggi 90enne, non ha mai voluto prendere parte ufficialmente la controversia. Ma la storia non finì semplicemente in un contrasto letterario. Finì in tribunale, anche se non per voler dei protagonisti. La vedova di Gerard Herzog, fratello di Maurice, che curò la pubblicazione del 1956, chiese il ritiro del libro del 2000 e i danni morali per il danno d’immagine arrecato dalla nuova pubblicazione al marito.
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